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- 25 Febbraio 2019 Data di creazione
- 25 Febbraio 2019 Ultimo aggiornamento
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Mare – terra. Binomio inscindibile da tutti i punti di vista, non ultimo quello pertinente il patrimonio storico-culturale che da questo connubio scaturisce. Binomio inscindibile che ci riporta all’accezione anglosassone del concetto di ecosistema quale ragnatela vitale di interconnessioni tra uomo, ambiente e natura terracquei. Estremamente delicato è l’ecosistema costiero soprattutto in una regione come la nostra dove l’elevata pressione demografica litoranea s’intreccia con zone ad alta intensità industriale e con una diffusa sovraesposizione turistica.
Ecosistema vuol dire sostanzialmente, in una società avanzata e demograficamente complessa quale la nostra : pianificazione. Proprio quella di cui l’Italia intera e la Sicilia in particolare sono carenti. Comprendere il concetto di ecosistema, ma soprattutto comprendere e conoscere i vari ecosistemi significa avere la conoscenza, la coscienza e la scienza per prevedere quale sia l’esisto di ogni causa, il risultato di ogni azione, il disastro possibile come conseguenza di un’azione sbagliata.
Che la prospettiva ecosistemica costiera e marina sia in Italia qualcosa di lontano dalla prassi lo dimostra il continuo bollettino di disastri che riguardano sia l’ambiente naturale che quello antropizzato. Scelte errate o non scelte comportano, ad esempio, dissesto idrogeologico, erosione costiera, inquinamento pressoché irreversibile e ripercussioni sulla salute pubblica. In quest’ottica anche il destino delle tracce storico-culturali costiere e marine subisce ripercussioni negative.
Ma affrontare il problema soltanto in una prospettiva ecologica pensando che l’universo sia un grande contenitore dove tutto funziona in virtù di meccanismi matematicamente e fisicamente collegati come all’interno di un orologio è senz’altro errato poiché le variabili dei sistemi sono talmente tante e così variamente interpolabili tra loro che il livello di previsione degli esiti non sempre è sufficientemente alto.
Tuttavia non possiamo non ricordare a noi stessi che c’è un limite alla creatività e spontaneità del sistema ancorché vogliamo adottare un sistema pianificatorio leggero. Ma anche questo limite noi lo abbiamo superato ampiamente. Le fluttuazioni del mercato, l’instabilità dell’economia e la conflittualità sociale legata alla precarietà del lavoro lo dimostrano.
Le cause di tutto ciò vanno certamente ricercate nella politica che non è in grado di realizzare programmi di sviluppo pluriennali attendibili. Ciò sia per un decadimento generalizzato della politica che da anni sembra avvitata in una spirale di depauperamento di ideali, professionalità ed etica, ma anche per la conseguente ricaduta che tutto ciò ha nella vita civile dove i valori scompaiono sopraffatti dalla logica del mero ed esclusivo profitto. Ci ammoniva Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus che “il profitto è un regolatore della vita aziendale, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali”.
Fattori umani e morali appunto. Ed è su questo binomio che può basarsi una corretta politica di sviluppo delle aree costiere e dei suoi ecosistemi. Ma il riferimento a fattori umani e morali non può prescindere dal rispetto e dalla valorizzazione delle valenze storico-culturali del mare e degli ambienti costieri viste non soltanto come generatrici di profitto, bensì come correttivo ed argine verso pericolose involuzioni e derive speculative foriere soltanto di ulteriori cementificazioni ed oltraggi al nostro patrimonio culturale.
“La prospettiva del mare” c’impone di ragionare non in termine di mero profitto, ma di investimento in ricerca, tutela e valorizzazione dei Beni Culturali marini e costieri come fattori di equilibrio e regolazione del sistema.
In altre parole è ora di affermare con chiarezza e senza ipocrisie che il concetto che l’investimento in questo settore deve essere redditizio in termini di rapporto costi-benefici sul piano esclusivamente economico è inattuabile oltre che estremamente pericoloso per le tragiche ricadute che può avere nel più ampio sistema – paese. Certo ci sono mete turisticamente più attrattive i cui numeri di visitatori permettono introiti altissimi; ma anche in questi casi è esemplificabile con facilità che l’investimento in manutenzione ordinaria e straordinaria ed in personale raggiunge cifre che riducono drasticamente ogni velleità di profitto reale. Ma anche individuando quegli attrattori particolarmente redditizi non potremo permetterci di relegare in secondo piano tutto il resto che, al contrario, rende unici e fortemente attraenti gli ambienti costieri ed i mari d’Italia e di Sicilia poiché inseriti in un sistema interattivo e non emergenza isolata.
Qual è l’originalità che rende unici gli ambienti costieri e marini italiani e siciliani? E’ quell’altrove introvabile connubio tra grandi emergenze monumentali (sia esse mobili che immobili come i relitti) ed un tessuto costante e coerente di interrelazioni tra paesaggio antropizzato e naturale. In altre parole è l’Italia dei borghi marinari ancora ricchi di vissuto storico, religioso e sociale che mantiene i segni architettonici del suo divenire a costituire l’attrattore principale poiché da esso fuoriescono numerosi i grandi capolavori della monumentalità pluriepocale senza avere il carattere di isolati e, quindi, irreali esercitazioni accademiche, bensì come espressioni massime di un comune sentire. E’ quindi il sistema dei beni culturali costieri e marini a dovere essere tutelato nella sua integrità ed interrelabilità e non soltanto le singole emergenze che avulse dal contesto perdono il loro significato più importante.
In quest’ottica la logica del profitto a tutti i costi che deve scaturire dallo sfruttamento turistico dei beni culturali è uno dei più gravi pericoli per il nostro patrimonio culturale marino e costiero. Se questa logica venisse applicata in maniera generalizzata significherebbe la decimazione del nostro patrimonio poiché sulla base di una squallida graduatoria di cifre si vedrebbe decapitato il nostro patrimonio secondo un criterio selettivo basato esclusivamente sugli introiti. Ciò significherebbe in breve tempo abbandonare un immenso patrimonio all’oblio e curare soltanto i più rilevanti “gioielli di famiglia” provocandone dopo poco tempo l’asfissia poiché strappati dal loro contesto naturale e sistemico.
Al contrario risulta difficilmente contestabile che è il sistema del patrimonio culturale siciliano marino e costiero di grande pregio, consistenza ed originalità, a potere nel suo insieme costituire l’importante alternativa economica allo sviluppo e una grossa opportunità occupazionale nei confronti di settori in profonda crisi quali l’industria, l’agricoltura ed il terziario.
Ma la realtà è ben diversa dai toni trionfalistici di una certa pubblicistica politica di maniera che esalta il ruolo dei beni culturali senza agire di conseguenza. E’ palesemente contraddittorio da parte delle forze di governo dichiarare la centralità del settore dei beni culturali e dell’istruzione e destinare risorse ridicole ad essi. Uno dei problemi fondamentali di questo settore è, infatti, la carenza di fondi strutturali. Troppo poco viene destinato nel bilancio a questo settore che è, invece, strategico per lo sviluppo dell’isola. Ancora questa gravissima situazione non è venuta palesemente allo scoperto perché la non corretta gestione dei fondi POR è servita surrettiziamente a colmare la lacuna dei fondi strutturali. Ma quando il flusso di denari europei cesserà o verrà correttamente speso nell’ambito di reali progetti innovativi ed integrati si paleserà in tutta la sua gravità l’enorme discrepanza tra le assegnazioni di bilancio e le necessità del settore.
Una delle anomalie più stridenti dovuta all’assenza di pianificazione è quella delle tonnare o stabilimenti per la lavorazione del pescato di cui la Sicilia ne era particolarmente dotata. Queste stupende installazioni di archeologia industriale sono state parzialmente interessate dai finanziamenti del P.O.R. In particolare ciò riguarda lo stabilimento Florio di Favignana e la tonnara di Santa Panagia di Siracusa. Interventi lodevoli di recupero che rischiano di essere vanificati poiché ancora non è chiara la destinazione finale al di là della generica indicazione museale.
Ma ciò che è più grave è che nessuna pianificazione è stata pensata ed attuata per la totalità di questi meravigliosi esemplari di archeologia industriale di proprietà privata che il mondo ci invidia (o ci invidiava perché stanno diventando ormai ruderi archeologici). Nessuna normativa specifica per regolarne, incentivarne ed organizzarne la tutela ed al contempo la valorizzazione a fini turistico-ricettivi di pregio che poteva essere, insieme all’aggancio con gli sport marini una linea di sviluppo per il recupero economicamente compatibile di queste incomparabili strutture di cui, invece, di anno in anno ne registriamo l’inesorabile agonia.
Al degrado del patrimonio storico-architettonico legato al mare si aggiunge quello territoriale caratterizzato dalle estese concentrazioni edilizie abusive quasi interamente basato su infimi valori architettonici e scarsa componente materica. Se vogliamo recuperare ossigeno alla nostra offerta marina e costiera prioritari sono gli interventi nelle aree a forte caratterizzazione paesaggistica, dove il recupero della qualità dell’ambiente urbano o naturale è irrinunciabile. E’ importante per questo fermare l’uso illegale del territorio, che ha creato guasti che possono essere riparati con una politica di demolizione o rimozione delle opere abusive nelle aree con forte caratterizzazione paesaggistica, recuperandole con un’effettiva politica di riqualificazione. Di contro, un più incisivo controllo delle attività praticate, applicando le norme esistenti e prevedendo lo snellimento delle procedure amministrative per consentire una disciplina effettiva delle attività edilizie possibili e compatibili, può incentivare la fruizione di luoghi di così elevato interesse paesaggistico e culturale.
La semplificazione delle procedure di pianificazione, possibile nello speciale contesto normativo siciliano, dovrà essere un obiettivo prioritario per la riqualificazione delle aree costiere in una visione coordinata di tutto il territorio, per poter far fronte alle nuove esigenze urbane compatibilmente con le specifiche caratteristiche ambientali. L’interesse centrale della pianificazione a tutti i livelli dovrà essere spostato finalmente verso il raggiungimento della qualità ambientale delle aree edificate, riportando gli interessi residenziali all’interno dei centri storici e limitandoli verso l’esterno dell’abitato.
In sintesi per il rilancio effettivo del sistema cultura in Sicilia, così come nel resto della penisola è necessario un cambiamento radicale nella politica finora attuata. Se in Italia otto italiani su dieci non hanno mai varcato in un anno la soglia di un museo, nove su dieci non hanno mai visitato un sito archeologico, un italiano e mezzo ha frequentato una biblioteca ed otto su dieci non hanno assistito ad un concerto o una rappresentazione teatrale vuol dire che il sistema cultura non è adeguato al patrimonio che possediamo ed ai compiti che una nazione progredita ha il dovere di assolvere. Del resto siamo in un paese che spende mediamente per la cultura lo 0,25 del Pil, meno della metà di Francia, Germania, Spagna e Portogallo. Vi è una permanente colpevole disattenzione verso la componente essenziale della nostra identità nazionale che si ripercuote in un decadimento del livello culturale della nostra popolazione e in un’incapacità di fare fruttare al meglio il vasto museo diffuso che possediamo e le risorse culturali marine in primo luogo data la natura prettamente costiera del nostro paese e della Sicilia in particolare.
Per la verità bisogna dare atto al legislatore siciliano di avere avuto grande attenzione per il patrimonio culturale marino creando la prima soprintendenza del mare d’Italia (che lo Stato sta tentando di istituire anche al livello nazionale) di cui mi onoro di esserne soprintendente. La sua creazione ha costituito una svolta per la ricerca, la tutela e la valorizzazione delle risorse culturali marine. Si è immediatamente passati dall’improvvisazione dell’intervento alla sistematica opera di ricerca e tutela che sta dando i primi cospicui risultati tangibili. Si sono decuplicate le scoperte e gli interventi scientifici di documentazione e censimento dell’immenso museo sommerso che circonda la Sicilia. Si è fermata, anche grazie ad una strettissima collaborazione con Carabinieri, Guardia Costiera, Guardia di Finanza e Polizia di Stato, la dilagante emorragia di reperti che venivano sistematicamente depredati dai nostri mari. La Soprintendenza del Mare è diventata in poco meno di due anni un punto di riferimento per la gente di mare poiché si pone non come ente pubblico vessatorio, bensì come catalizzatore e propulsore di iniziative legate alla conoscenza, tutela e, soprattutto, valorizzazione delle risorse culturali marine. Aumentano settimanalmente le consegne spontanee di reperti da parte della gente comune dimostrando fiducia ed autorevolezza della nostra struttura.
Ciò anche perché abbiamo investito tempo e risorse nella valorizzazione di questi beni dimostrando al pubblico che non si vuole impedire la fruizione di questi beni, bensì la loro adeguata fruizione. In quest’ottica abbiamo avuto forse i risultati più interessanti che ci hanno catapultato sulla scena mondiale diventando centro di eccellenza riconosciuto nel campo della gestione di questo patrimonio sommerso. L’applicazione della direttiva UNESCO di evitare inutili prelievi di reperti dal mare, ma di incrementare la visita in situ dei luoghi d’interesse culturali è stata dalla Soprintendenza del Mare realizzata pienamente progettando e istituendo ormai una dozzina di parchi archeologici subacquei e creando i primi due sistemi al mondo di telecontrollo a distanza di due relitti antichi: quello di Cala Minnola a Levanzo e quello di Cala Gadir a Pantelleria. Quest’ultimo è anche in rete consentendo all’utente internauta di potere da casa vedere in diretta ciò che avviene nell’area del relitto di Gadir di cui può ammirarne le anfore nel loro contesto originario.
Ma tutto ciò è stato possibile soprattutto grazie all’entusiasmo di tutti i componenti della Soprintendenza ed ai tanti volontari che ci hanno prestato la loro opera disinteressatamente. Ma si è ben lontani dall’avere ricevuto quella dotazione essenziale per potere espletare al meglio i propri compiti istituzionali e fare ancora meglio nell’offrire a questa terra la possibilità di avviarsi verso uno sfruttamento ecocompatibile delle proprie risorse culturali marine così come abbiamo potuto fare soltanto in alcune zone.
Cambiare significa investire di più e meglio. Investire meglio significa adeguare il sistema cultura premiando la professionalità e non il clientelismo. Ma significa anche attuare quelle corrette sinergie pubblico-privato che l’attuale divario tra inerzia negativa della pubblica gestione della cultura ed inadeguato sistema di agevolazioni fiscali inibisce allontanando il privato da questo settore limitandolo a pochi isolati interventi di sponsorizzazione.
Siamo certi di avere le risorse e le professionalità per cambiare il sistema cultura da asfittico e polveroso orpello di politiche fallimentari e farlo diventare occasione di crescita effettiva per la nostra identità nazionale e per lo sviluppo qualificato della Sicilia e del meridione. Diciamo questo forti dei risultati lusinghieri ottenuti proprio nella difesa e valorizzazione corretta delle risorse culturali del mare siciliano che sono già diventate, grazie ai nostri interventi, occasioni di incremento occupazionale e di reddito.
Sebastiano Tusa Soprintendente del Mare Regione Siciliana
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Sebastiano Tusa - Il ruolo della cultura del mare per lo sviluppo ed il rafforzamento della Sicilia ITA.pdf | Download Share on Facebook |
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