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Pino Gullo - Turismo Azzurro e nuova professione ittica

Per focalizzare  l’importanza del tema  del << Turismo Azzurro>>  per il settore ittico,  oggetto della tavola rotonda, a mio avviso, è necessario inquadrarlo attorno a due problematiche:

1) il peso e il ruolo del turismo nell’economia, oggi ;

2) La ridefinizione della professione ittica.

Secondo molti economisti, <<il turismo è l’industria del 21secolo>>.   Per  una corretta analisi e una verifica preliminare, per primo mi pare importante focalizzare qualche macrodato di contesto nel quale  si inserirebbero gli eventuali spazi anche di mercato per il Turismo Azzurro nel Mediterraneo.

Il significato etimologico del nome deriva dalla parola latina Mediterraneus, che significa in mezzo alle terre.

Secondo il   rapporto Svimez  del 2005, il 9/10% del turismo mondiale si concentrava  nel mediterraneo. Dieci anni dopo, nel 2015, nonostante le guerre sante e il terrorismo,  secondo le statistiche  il dato aveva già raggiunto il 12% .

Il Mediterraneo, è stato una delle rotte commerciali più trafficate nella storia e la culla di importanti scambi culturali e civiltà. Oggi, sulle cui sponde si affacciano 24 stati nazionali,  mantiene un’importanza vitale per più di 600 milioni di persone. E’ infatti la prima destinazione turistica mondiale e, nonostante rappresenti l’8% delle acque dell’intero globo terreste e   meno dell’1% degli oceani del mondo, gli scienziati ci dicono che accoglie quasi il 9% di tutta la vita marina, con più di 10.000 specie finora identificate di cui una su quattro esclusiva.

Nelle acque del  Mediterraneo, dove circa 5.000 isole grandi e piccole punteggiano il suo bacino, inoltre vivono e si possono rintracciare: 

  • 289 , sono le specie vegetali marine;
  • 700 le specie di molluschi.
  • dai 3 mila ai 4 mila metri la profondità media, che permette ad alcune specie di balene, pesce spada, tonno e delfini di viverci;
  • Nei paesi rivieraschi si concentra il 6% delle specie vegetali presenti sulla terra e il 12% di quelle minacciate di estinzione;
  • 2 miliardi di uccelli appartenenti a 150 specie diverse fanno tappa durante le migrazioni nelle zone umide mediterranee;
  • Circa 600 le specie di spugne che si trovano, il 45% delle quali esclusive del mediterraneo. 

Nel mezzo di  questa enorme ricchezza di biodiversità e di diversità ambientale  c’è l’Italia.

 L’Italia, proprio per la sua posizione geografica nel Mediterraneo, da sempre, è al centro di  questo crocevia di biodiversità , di vita naturale,  di traffico commerciale  e di mobilità umana, la cui industria, appunto quella turistica, oltre a  rappresentare la seconda voce attiva nella bilancia dei pagamenti, dopo quella agroalimentare del paese, è sicuramente un motore,  un volano, un propulsore per molti comparti economici,  stò pensando ad esempio al alla nautica e al diportismo. Purtroppo, ad oggi, solo indirettamente per il settore ittico, anzi solo negli ultimi anni il settore ittico ha cominciato a intravederne e ad utilizzarne  le potenzialità.

La genesi dell’attuale  settore ittico nel  mediterraneo, come sappiamo, prende avvio dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la diffusione del motore diesel nel settore, rendendo possibile il passaggio dalla pesca removelica a quella meccanica. 

La motorizzazione diffusa del comparto, ha innescato un processo di “industrializzazione” rapido, che ha reso possibile  l’abbandono della pesca multispecifica - caratterizzata dalla stagionalità dell’attrezzo e delle catture  ancorata ai saperi millenari  -  alla “verticalizzazione” della pesca  legata allo sfruttamento intensivo delle catture mediante l’attrezzo e  alla conseguente rapida “specializzazione” della professione ittica.

In sostanza nell'arco di un quarantennio si passa dalla pesca del territorio costiero e dei grandi saperi marini  trasmessi per generazioni, a quello degli orizzonti marini illimitati, del sopravvento della tecnologia sempre più determinante ed invasiva, con scarsa  attenzione per la sostenibilità.

Come sappiamo, purtroppo, a causa di molteplici fattori, quali l’intensificarsi delle attività umane  nella fascia costiera,  l’aumento dell’inquinamento, la stessa intensificazione delle attività di pesca,  la specializzazione spinta ,  accoppiata all'aumento dei costi del  carburanti e  le  scarse attenzioni verso la sostenibilità, hanno provocato un impatto negativo sulla risorsa e sulla sua riproducibilità  causando e innescando  la crisi dell’ultimo decennio del  comparto ittico di cui siamo contemporaneamente protagonisti e vittime.

Stando così le cose, il popolo dei pescatori appare oggi come un nucleo di sopravvissuti, come  “gli ultimi dei mohicani”.

La rottamazione delle barche, i default degli equipaggi, l’abbandono dei tesserini, indubbiamente, oltre a testimoniare lo stato del settore,   impongono una riflessione sulla stessa professione ittica. In altri termini,  la portata della crisi, registrata dalle statistiche negative  del comparto, è  tale, da mettere in discussione la stessa esistenza  della professione ittica se non si individuano nuove strade e nuovi segmenti di attività limitrofi. 

Se posso permettermi di dare un modesto contributo, maturato e mutuato  dalla mia esperienza in altri comparti, parafrasando per analogia il Prof. Franco Sotte,  uno dei componenti del Gruppo di Bruges che negli anni 90 ha ridefinito la professione agricola, possiamo dire che, parallelamente,  la professione ittica, in particolare quella della piccola pesca costiera nel mediterraneo, sedimentata in seimila anni di storia, è ad una svolta. In pratica, a mio avviso, ciò che ci si aspetta dal mestiere del pescatore  è che progressivamente si trasformi in una professione di sintesi, all'incrocio tra la produzione, la protezione della natura e la gestione del territorio marino. Così facendo, esso si aprirà alla flessibilità, dando piena sostanza a quella che oggi si chiama pluriattività e multifunzionalità  e che sarà domani l’imprenditorialità ittica. Questa reinvenzione del mestiere del pescatore si fonda su tre esigenze inseparabili: la prima è quella di ridefinire lo status professionale del pescatore, la seconda attiene alla riconsiderazione dei fondamenti della solidarietà professionale, la terza riguarda l’esigenza di rinnovare l’etica dell’attività ittica. In sintesi questa a me pare lo sbocco per una nuova identità in grado di dare una nuova legittimazione sociale e un futuro agli addetti.  

Il “Turismo Azzurro”, di cui le attività e  la professione di pesca sono un segmento, vive è ha necessità di  identità territoriale. Chi meglio della pesca, con la sua attività, i suoi colori, i suoi saperi, i suoi sapori, la sua cultura millenaria,  può contribuire a rappresentare quest’identità territoriale?  Chi meglio della professione di pesca può rappresentare al turista la ricchezza, la biodiversità e  trasmettere la conoscenza  di un determinato del territorio marino? Chi più e meglio del pescatore può essere interessato a salvaguardare l’ambiente e le  risorse del mare?  quelle ittiche e quelle naturalistiche; quelle ambientali e  quelle alieutiche.

Pescaturismo, ittiturismo, guardiani della costa, sentinelle del mare, street food del porto, fish end crok, testimonial in eventi  di educational alimentare, guide turistiche costiere, sono tutti segmenti della nuova professione ittica  che innestati nella professione primaria del pescatore, ampliandone le attività, contribuiscono nel contempo a ridefinirne l’identità, prospettandone un futuro sociale sostenibile, non assistenzialistico, foriero di nuovi investimenti, di nuova imprenditorialità, per  di valorizzare ciò che già è in essere ed in grado di recuperare, inglobare e incamerare valore aggiunto della filiera.

Nel lontano 2006, in un intervista  il celebre velista Giovanni Soldini  affermava :

<< Il nostro mare, il Mediterraneo non è un’enorme piscina per le vacanze estive e poi pazienza se il tonno sta finendo o le balene non si vedono più. Bisogna rendersi conto che il mare va protetto e non sfruttato fino al collasso. (…) occorre porre fine a questo sfruttamento  indiscriminato delle risorse del mare e necessario istituire invece una rete di  aree marine protette in mare aperto.

Le aree protette oggi sono meno dell1% del Mediterraneo, molto meno del 25/50% raccomandato dagli scienziati. Occorre una rete globale di riserve marine che comprenda il 40% degli oceani e il 40% del Mediterraneo. Questa è l’unica soluzione possibile e va incontro sia alla necessità della conservazione che a quella dei pescatori. Se non si dà modo agli stok ittici di rinnovarsi e ricostituirsi, proteggendo i luoghi dove i pesci si riproducono e si alimentano, non ci sarà più nulla da fare.(…)>>  Informazioni tratte da Giovanni Soldini  in L’appello a salvare il Mediterraneo del celebre velista in La Repubblica di domenica 20.08.06

A  dodici anni da quell’intervista, per fortuna qualche passo avanti è stato fatto.

  1. Il Tonno rosso è tornato nel Mediterraneo e a giudicare dalle decisioni dell’ICCAT pare che si è scongiurata l’estinzione, anche se altre specie  sono oggi in sofferenza;
  2. Anche se non siamo al 40% di riserve marine auspicato dagli scienziati, certamente non siamo più all’1%. Una rete di AMP (Aree Marine Protette) punteggiano le sponde dei paesi europei del Mediterraneo;
  3. Mi pare che una maggior coscienza e sensibilità ambientalista si fa strada nell’opinione pubblica e negli operatori economici, anche se molta strada c’è ancora da fare.

Certamente  molto resta ancora da fare, specie per la professione ittica,  ma l’aver individuato i problemi e averli messi a fuoco intravedendone soluzioni, è già un grande passo avanti per uscire dalla crisi e guardare al  futuro non come “popolo di mohicani”, ma da protagonisti.

 

Sintesi  dell’intervento del   Dott. Pino Gullo – di Legacoop Sicilia –  Cefalù (PA)  13/10/2018