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Paolo Guidetti - I ricci di mare ed i fondali rocciosi in Puglia: pesca, impatti umani ed implicazioni ecologiche

La pesca del riccio di mare Paracentrotus lividus in Salento (Puglia meridionale) è un’attività molto diffusa in quanto il riccio di mare viene sfruttato tradizionalmente in questa area geografica, così come in gran parte dell’Italia meridionale. L’attività di prelievo a fini di vendita e la commercializzazione del prodotto (i.e. le gonadi) in parte avvengono all’interno di filiere legali, in parte seguono vie illegali e non controllate. Ad una attività di sfruttamento per fini commerciali si affianca poi un prelievo ricreativo. I controlli sono, tuttavia, molto scarsi e le quote di prelievo non molto rispettate.

Le implicazioni ecologiche delle attività pesca del riccio di mare sono molteplici. Uno studio condotto lungo le coste adriatiche del Salento ha evidenziato che nelle aree soggette alla pesca del riccio gli individui di P. lividus non mostrano decrementi di densità, ma principalmente della taglia media. In particolare sono molto meno frequenti gli individui di taglia superiore ai 4 cm (diametro della teca senza spine). Sorprendentemente, nelle aree soggette a pesca del riccio edule le densità della specie non edule, Arbacia lixula, sono risultate più elevate, mentre nessuna differenza è emersa in merito alla distribuzione di taglia. Dal punto di vista funzionale, ciò implica che nelle aree soggette a pesca del riccio edule aumenta la biomassa complessiva dei ricci pascolatori, in particolare di A. lixula. Ciò ha come conseguenza una maggiore tendenza dei fondali rocciosi alla transizione da substrati dominati da macroalghe ai deserti rocciosi, i cosiddetti barren. Questa transizione produce diverse conseguenze negative, per esempio, in termini di perdita di diversità, produzione primaria macroalgale e struttura tridimensionale dell’habitat.

Una simile tendenza al degrado degli ecosistemi di fondo duro può essere innescata dalla pesca eccessiva dei predatori dei ricci di mare, spesso rappresentati da pesci di interesse commerciale (es. i saraghi). Ciò è stato dimostrato confrontando la situazione all’interno dell’Area Marina Protetta (AMP) di Torre Guaceto con la situazione all’esterno. Nelle zone A dell’AMP i pesci predatori sono più grandi ed abbondanti, i ricci sono meno abbondanti ed i barren meno estesi. All’esterno dell’AMP è stato osservato l’esatto contrario.

Nei pressi di Porto Cesareo, infine, località situata lungo le coste ioniche del Salento, era tradizionalmente praticata la pesca del dattero di mare, il mollusco endolitico Lithophaga lithophaga. Tale attività è continuata per anni anche dopo che è stata dichiarata illegale. Oggi è limitata seppur ancora non del tutto debellata. Oltre alla distruzione diretta dei fondali rocciosi operata dai pescatori di datteri è stato osservato che le aree impattate fortemente da tale pesca tendono ad ospitare densità inusuali di ricci di mare. Questi ultimi, tra l’altro, liberi dal controllo predatorio a causa dell’intensa pesca dei predatori naturali nell'area di Porto Cesareo, operano un grazing non selettivo eradicando gli organismi del macrofito- e macrozoobenthos, inclusi i loro propaguli, impedendo di fatto non solo la ricolonizzazione dei fondali desertificati dai pescatori di datteri, ma alche allargando le chiazze di barren create dallo smantellamento delle rocce per estrarre i molluschi. Oltre alla riduzione dei predatori di ricci adulti a causa della pesca intensa, la stessa pesca del dattero ha creato un ‘nuovo’ microhabitat, cioè i buchi vuoti lasciati dopo il prelievo dei datteri, i quali sono usati dai piccoli ricci per evitare la predazione durante le fasi giovanili. Nelle aree soggette alla pesca del dattero di mare, tale riduzione della mortalità giovanile dei ricci è un meccanismo che può contribuire a mantenere elevate le densità dei ricci e desertificati i substrati rocciosi per decenni.

Questi casi di studio in Salento dimostrano che la pesca del riccio edule, la pesca eccessiva dei pesci predatori di ricci e la pesca del dattero di mare sono tre tipologie di impatto umano i cui effetti possono risultare sinergici nel determinare un degrado difficilmente reversibile degli ecosistemi di fondo duro, con potenziali ripercussioni sul funzionamenti di tali ecosistemi ed i servizi offerti alla società (es. il reclutamento di specie ittiche anche di importanza commerciale).

Paolo Guidetti – CoNISMa, DiSTeBA, Università del Salento, 73100 Lecce, Italy

paolo.guidetti@unisalento.it