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Paola Gianguzza - Vivere di mare in Sicilia

“Vivere di Mare in Sicilia”

 

L’agricoltura e la pesca hanno rappresentato per secoli la maggiore risorsa per le popolazioni sicule. Ce lo documentano i resti paleolitici di molluschi e pesci trovati nelle grotte del Genovese a Lévanzo, dell’Uzzo allo Zingaro e del Gargallo presso Siracusa,i disegni ed i graffiti tracciati sulle pareti della Grotta del Genovese raffiguranti la pesca dei tonni, delle cernie, delle spigole, sogliole e murene. Ce lo raccontala ghirlanda di tonnare e di tonnarelle che abbraccia le nostre coste in un circuito continuo ed un passato ad alta concentrazione di marineria artigianale. E non può essere altrimenti, dato che i litorali dell’isola si estendono su 1050 km e superano i 1500 con le 14 isole minori.

Quando in Sicilia si parla di pesca l’attenzione va ai grandi porti di Mazara del Vallo, anzi tutto e quindi di Sciacca, Porto Empedocle, Licata e Pozzallo, che si affacciano sul mare africano; sulla  sponda tirrenica fa da contraltare Porticello. In questi grossi centri lo sfruttamento del mare ha dimensioni industriali che spiegano il potere di alcune dinastie di armatori; ma al contempo risente di tutte le incognite dell’economia, della politica e dei grandi cambiamenti ambientali. Le alterne vicende hanno fatto della pesca d’altura un grande fattore di crescita, o, al contrario una grossa palla al piede dell’economia isolana.

Negli altri siti la pesca ha dimensioni locali e nella maggior parte di essi si limita ad un’attività artigianale. Questa è ritenuta a torto un’attività minore, unicamente perché sfugge a valutazioni precise e perché sembra un lavoro povero, che dà poco o nessun guadagno. In realtà non è così e pur non essendo un’attività molto ricca, essa riesce ancora a far sopravvivere tante famiglie.

In ogni caso nella piccola pesca tradizionale sopravvivono intatti i fondamenti della cultura materiale e dell’etnografia mediterranea. Nel Golfo di Palermo la pesca artigianale rappresenta un vero e proprio bagaglio di tradizioni e cultura popolari di grande importanza: essa si attua attraverso metodi e sistemi ben distinti che variano in relazione alle abitudini della specie che si vuol catturare, ma anche in base al tipo di fondale e alle condizioni meteo-marine. Tutto ciò comporta, a sua volta, una notevole differenziazione negli attrezzi da pesca, anche in marinerie che spesso si trovano molto vicine tra loro.

E’ superfluo aggiungere che sulla pesca una comunità marinara fonda la sua esistenza. Nei mari siciliani è molto abbondante quello che viene definito " il pesce azzurro". Si tratta di specie come la palamita, il tombarello, le acciughe, lo sgombro, l’ aguglia, l’alaccia, la sarda, l’alice, il capone il cui costo è generalmente ridotto per la grande quantità di pescato, da qui la denominazione di specie eccedentaria.

Da sempre nella tradizione culinaria siciliana queste specie sono state considerate parte di una cucina povera ed attualmente sono state scoperte da molti cuochi stellati che ne stanno promuovendo l’utilizzo in famosi format televisivi, ristoranti etc.

Le carni del pesce azzurro sono in realtà sono molto ricche di qualità nutrizionali. Sono molto digeribili grazie all'assenza di grassi saturi, e fonti importanti di omega 3 e di calcio. pesce azzurro è molto facile da digerire nonché ricca di grassi buoni, ovvero gli omega 3, contiene inoltre: selenio, calcio, iodio, fosforo, potassio, selenio, fluoro, zinco, vitamine A e B. Comprarli e cucinarli sempre più spesso può dare una mano alla sostenibilità ambientale del nostro mare.

 

Prof.ssa  Paola Gianguzza

Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM).

 Università di Palermo.