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Mario Ferretti - Il Piano d’Azione Mediterraneo (PAM).pdfDownload Share on Facebook

Mario Ferretti - Il piano d

E’ noto che spesso si sono verificate incomprensioni nel settore della pesca tra la commissione europea e gli operatori del Mediterraneo.

La commissione infatti risente molto l’influsso dell’Atlantico e del Mare del Nord che per quanto riguarda la pesca permettono delle catture molto più rilevanti di quelle mediterranee. Gli stessi funzionari della direzione generale della pesca e dell’acquacoltura della commissione europea, generalmente sono di provenienza e di formazione nordici e quindi inevitabilmente portano queste caratteristiche nella loro azione di gestori della pesca.

I mediterranei d’altra parte lamentano che le specificità del Mediterraneo note ed ammesse da tutti non sono tenute nella dovuta considerazione dalla commissione.

Le incomprensioni si sono accentuate con l’uscita del regolamento per il Mediterraneo (Reg. 1626/94) che effettivamente tiene poco in considerazione le specificità del Mediterraneo e che ha provocato polemiche soprattutto per quanto riguarda le pesche speciali e la discrepanza tra le maglie minime ammesse e le taglie minime dei pesci atti alla commercializzazione.

Ora il regolamento 1626/94 è in revisione e come c’era da aspettarsi le discussioni sono cresciute.

I mediterranei hanno chiesto con forza alla commissione che venga considerata la specificità del loro mare e che per certi tipi di gestione di specie di interesse locale, per alcune pesche tradizionali volga il principio di sussidiarietà.

Frutto di queste discussioni è il Piano di Azione Mediterraneo (PAM) predisposto dalla commissione (vedere COM/2002/535 definitivo).

Bisogna ammettere che rispetto alla prevalente passata incomunicabilità tra pesca mediterranea e commissione UE sono stati fatti enormi passi in avanti. Il documento presentato è un buon documento che soprattutto in alcune parti tiene conto della specificità del Mediterraneo e ne comprende le ragioni; esamina la problematica dai vari punti di vista con una certa razionalità è completezza.

Naturalmente sono rimasti alcuni punti di debolezza ed alcune contraddizioni che qui si cerca di evidenziare senza sottacere alcune considerazioni indubbiamente positive.

  1. Nonostante la maggiore comprensione della pesca mediterranea dimostrata nel documento ed esplicitata, ad esempio, varie volte quando si ammette che il sistema delle quote non è applicabile in Mediterraneo, poi si ricasca nella visione nordica della pesca e si ammette possibile, in alternativa, l’introduzione di TAC per grandi pelagici, per piccoli pelagici, per gamberi e scampi.

Infatti si dice espressamente “E’ opinione comune nell’ambito, del CGPM, che l’applicazione di TAC sarebbe decisamente improponibile per la pesca multispecifica” ma poi altrettanto espressamente si dice “l’applicazione dei TAC può tuttavia costituire uno strumento adeguato in alcuni casi”.

Non è vero. Non lo e mai. L’unico caso di applicazione dei TAC, quello relativo al tonno rosso, dimostra che la misura è inapplicabile, si presta ad essere elusa, non risolve i problemi di sovrappesca.

  1. Sulle taglie minime vi è la considerazione della necessità di legare le taglie alla selettività degli attrezzi legalmente impiegati cosa sostenuta da sempre dall’Italia e già presente nella nostra legislazione. Quando si parla di mercati però si ritorna alle taglie minime uguali tra Mare del Nord e Mediterraneo e quindi si dice il contrario di quanto sostenuto precedentemente. E’ noto che le maglie legali nel mare del Nord, per il tipo di cattura che si verifica in quel mare, sono molto più grandi che in Mediterraneo e quindi è normale che la taglia minima ad esempio del merluzzo possa essere più grande.
  2. Gli scarti di pesca in Mediterraneo a me sembrano piuttosto esigui per il tipo di pesca che vi si pratica; i dati presentati dicono il contrario. Forse si considera scarto di pesca tutto il pesce sottomisura per il Reg. 1626/94, ma perfettamente legale per il DPR 1639/68.

Se così fosse si tratterebbe di uno scarto teorico, che in pratica viene regolarmente (anche se non legalmente) venduto e quindi non vi avrebbe dilapidazione di risorse.

Se poi dovesse passare quanto indicato al punto “mercati”, come evidenziato sopra, in pratica tutta la pesca mediterranea o quasi sarebbe teoricamente scarto di pesca.

  1. La norma della rete unica, la trovo di difficile comprensione ed introduzione in Mediterraneo. Nel mare del Nord è di facile e proficua applicazione perché si hanno maglie diverse per specie bersaglio e zone di pesca. Imporre una rete unica, cioè reti tutte uguali con la stessa maglia nella singola bordata facilita, anzi rende possibili i controlli.

In Mediterraneo però la maglia è unica per tutte le specie e tutte le zone (40 mm per lo strascico, 20 mm per la volante, 14 mm per le reti a circuizione) quindi la norma della rete unica non aggiunge nulla alla possibilità di gestione e controllo. In pratica si ha già una rete unica.

  1. La necessità di disporre di dati scientifici utili alla gestione è ben evidenziata e discussa.

In Mediterraneo non è che mancano dati scientifici, ce ne sono molti, in alcuni casi anche oltre il necessario, ma spesso sono relativi alla biologia marina più che alla biologia della pesca e non sempre sono sufficienti ed adeguati per una sana e corretta gestione delle risorse.

  1. Un’altra considerazione oggettivamente positiva presente nel documento è quella relativa alla necessità di coinvolgere i pescatori nel processo consultivo per avere buone possibilità di applicazione delle misure di gestione.

Altrettanto dicasi per l’ipotesi di creazione di un consiglio consultivo regionale per il Mediterraneo, che può permettere da una parte di coinvolgere gli interessati nella elaborazione della politica della pesca, dall’altra di fare conoscere meglio alla commissione la specificità e le problematiche mediterranee.

  1. Tra i lati positivi del documento non va sottaciuta la possibilità di gestione da parte del paese membro della pesca di specie costiere che sono di interesse di un solo stato membro. Questo può risolvere molti contenziosi e permettere certi tipi di pesca tradizionali, locali, spesso rivolti a specie adulte di piccola taglia che difficilmente potrebbero essere gestiti dalla commissione.

In pratica quindi il PAM è un buon documento ance se in alcuni punti contraddittorio.

Qua e là serpeggiano la volontà della commissione di voler decidere tutto quanto riguarda la gestione direttamente a Bruxelles negando di fatto il principio di sussidiarietà teorizzato nel documento ed un certo complesso di “superiorità” che i nordici non ammettono, ma hanno.

Tale complesso ci è incomprensibile sia perché siamo coscienti che la nostra pesca mediterranea ha millenni di storia e la nostra ricerca possiede dati utili per una sana gestione.

Non vogliamo dire che nella gestione della pesca mediterranea non sono mai stati commessi errori. In una materia così complessa come la gestione degli stock errori se ne commettono sempre ed a volte gravi, ma siamo sempre stati in grado di comprenderli e di prevedere le misure per attenuarli.

In altre parole pur con gli inevitabili errori che possiamo avere commesso nella gestione della pesca mediterranea, a volte determinati anche dalla necessità di armonizzare le misure da prendere con molti altri paesi con culture ed esperienze diverse, la nostra pesca non vive un momento particolarmente esaltante, ma non è in una crisi così accentuata come quella del Mare del Nord e dell’Atlantico che pare è stata gestita secondo indicazioni della commissione da vari decenni.

La maggior parte delle nostre risorse infatti sono probabilmente pienamente sfruttate, ma generalmente non sono al collasso.

Detto questo men che meno si capisce quella specie di complesso di superiorità che affligge la commissione.

Se con la loro gestione hanno portato al collasso vari stock del Mare del Nord e dell’Atlantico, pur essendo la loro gestione più facile dato che spesso si ha a che fare con catture quasi monospecifiche, mentre in Mediterraneo si hanno sempre catture multispecifiche, non possono certo proporsi con totale credibilità per la gestione della pesca mediterranea, notoriamente più complessa sia dal punto di vista biologico, sia dal punto di vista delle tecniche di pesca, sia dal punto di vista dei molti paesi interessati con legislazioni, culture, esperienze e mezzi di pesca diversi.

A questo proposito bisogna ricordare che solo quattro paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono membri della unione europea e tra poco potrebbero essere sette; in ogni caso i paesi della UE in Mediterraneo sono una esigna minoranza e minoranza resteranno anche con l’ingresso prossimo venturo di altri tre paesi.

Di questo sarà necessario tenere conto nella prossima regolamentazione della pesca in Mediterraneo.

Non è che si vuole negare la possibilità da parte della commissione di intervenire in Mediterraneo lasciando tutto nelle mani dei mediterranei. L’intervento però deve essere solo sulle linee generali lasciando ampio spazio di gestione ai paesi membri che per il principio di sussidiarietà e per la specificità tipica del Mediterraneo possono prendere le misure necessarie per la salvaguardia delle risorse e dei pescatori tenendo anche nella dovuta considerazione le tradizioni, gli usi, i costumi, la cultura dei pescatori mediterranei.

Se questo verrà compreso ed accettato dalla commissione si potrà instaurare in futuro una proficua collaborazione tra la stessa commissione e le varie componenti della pesca mediterranea, lasciando alle spalle polemiche, incomprensioni, discussioni, contrapposizioni che non sono utili a nessuno.

Mario Ferretti

CIRSPE