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Marco Saroglia - Risorse alimentari per la moderna acquacoltura

L’acquacoltura è probabilmente, tra i settori dell’agroalimentare, quello a crescita più veloce. Attualmente ricopre almeno il 50% della produzione totale di prodotti ittici a livello mondiale e sembra poter soddisfare l’ulteriore aumento di domanda previsto nei prossimi decenni, al fine di mantenere una adeguata disponibilità per la popolazione umana in aumento. L’incremento annuale della produzione mondiale è riportato del 6,6% al 2003 se si considerano solo gli animali acquatici, mentre la percentuale sale all’8% se si prendono in considerazione tutti i prodotti acquatici.

Se confrontiamo l’incremento produttivo delle principali derrate alimentari, l’acquacoltura mantiene il primo posto, seguita a breve distanza dall’allevamento di pollame (Fig. 1). (vedi all.) 

Fig. 1 – Acquacoltura e pollame sono i due settori dell’agroalimentare con maggiore crescita percentuale per anno (Kaushik, 2009)

 Per la fine della prima decade del XXI secolo, l’acquacoltura mondiale supererà 60 milioni di tonnellate, a fronte di circa 130 milioni di tonnellate di produzione ittica globale, inclusa la pesca.  Per mantenere l’attuale consumo pro-capite medio di pesce, stimato in 16,7 kg, con la popolazione di 9 miliardi di abitanti prevista per il 2030, si renderà necessario disporre di ulteriori 40 milioni di tonnellate di prodotto che non potranno essere fornite dalla pesca, le cui risorse sono già  sfruttate oltre misura. E’ pertanto dall’acquacoltura che ci possiamo attendere tale incremento. Questo risultato potrà quindi essere raggiunto sviluppando tutte le possibili forme di acquacoltura, incluse le forme intensive che  però dipendono, per l’alimentazione dei pesci, proprio dalla pesca quale sorgente di proteine e di lipidi.

La disponibilità di farine ed olio di pesce rappresenta senza dubbio un collo di bottiglia per lo sviluppo dell’acquacoltura. Infatti la produzione di farina di pesce non è aumentata nel corso degli ultimi 20 anni e la crescita del settore dell’allevamento ittico intensivo ha comportato un maggiore trasferimento di derivati della pesca alla mangimistica per questo settore della zootecnia. Nel contempo però è stata sperimentata la parziale sostituzione delle farine (FM) e degli oli di pesce (FO) con farine (VM) ed oli vegetali (VO).  La sfida del futuro sarà quindi quella dell’incremento dell’efficienza di conversione e della sostituzione parziale di FM e FO con VM e VO rispettivamente.

Il miglioramento degli ultimi venti anni nella formulazione mirata di mangimi, così come i miglioramenti gestionali negli allevamenti, hanno consentito un incremento progressivo dell’efficienza di conversione dei mangimi, con riduzione del valore del fattore di conversione (FCR), come riportato in tabella 1.

Tabella 1 – Incremento nell’efficienza di conversione nell’allevamento di salmone, osservato dagli anni ’80 al 2000 (Allodi, 2008)(vedi all.)  

Componente

1980’

1990’

2000’

Proteina grezza (%)

45

42

36

Lipidi grezzi (%)

18

32

38

Ceneri (%)

9

7

6

Fibra grezza (%)

2

1

1

NFE (%)

18

12

13

Umido (%)

8

6

6

 

 

 

 

DE (MJ/kg)

17

21

22

 

 

 

 

FCR, stima biologica

1,32

1,14

1,10

 

Un quantitativo fino al 75% di farina di pesce può essere rimpiazzato da farine vegetali, senza effetti negativi sulla crescita o sul valore di FCR (Gomez-Requeni et al., 2005).

In questo modo, pur con una ritenzione del 45% di proteina grezza, l’allevamento di salmone produce circa il 79% delle proteine di pesca utilizzate per la formulazione dei mangimi. Pertanto, se la quantità di farina di pesce impiegata nei mangimi si stabilizza nel 25% del fabbisogno proteico, riusciamo a produrre più proteina di pesce di quanta in realtà ne consumiamo coi mangimi.  E’ ragionevole pensare che nell'arco di 3-5 anni la ricerca avrà messo a disposizione le conoscenze necessarie per ottenere questo risultato.

Per un’acquacoltura sostenibile, l’industria mangimistica del pesce deve pertanto ridurre l’impiego di FM e FO, orientandosi verso materiali grezzi alternativi.  Il rapporto FM/FO  negli alimenti per pesci dovrebbe ridursi del 5-10% per anno e questo obiettivo si raggiungerà tanto prima quanto rimarranno alti i prezzi della risorsa di oli e farine provenienti dalla pesca. Il problema maggiore sarà comunque quello di ottenere le più alte percentuali di sostituzione.

La disponibilità di prodotti di scarto derivati dalla lavorazione delle carni di animali terrestri è stimata in oltre 16 milioni di tonnellate/anno nella sola Unione Europea. Le proteine ed i grassi provenienti da animali terrestri presentano un elevato valore nutrizionale per il pesce in allevamento. Inoltre, prodotti provenienti dalla lavorazione del pollame rappresentano una risorsa proteica quantitativamente superiore alla quantità totale di farina di pesce attualmente utilizzata nei mangimi e mostrano di essere ben tollerati dai pesci. Sebbene la legislazione europea consenta un uso pur limitato di derivati del sangue, grassi animali ed idrolizzati proteici, l’opinione pubblica e quindi l’accettabilità da parte del mercato, rappresentano l’ostacolo principale.

Con tali premesse è evidente come l’acquacoltura necessiti, per il proprio immediato futuro, di ulteriori conoscenze sulle strategie nutrizionali possibili, e che tali conoscenze possono scaturire soltanto da approfondimenti di conoscenze nei settori della fisiologia della nutrizione, della digestione, dell’assorbimento e del controllo dell’appetito. L’ulteriore approfondimento di tali conoscenze non potrà prescindere dall’impiego di moderni e potenti strumenti di indagine.

 

Sostituzione di farine ed olio di pesce con farine ed oli vegetali 

La quantità di prodotti della pesca destinati all'industria mangimistica è di circa 30 milioni di tonnellate su scala mondiale, di cui circa 6 milioni di tonnellate sono rappresentate da farina ed 1 milione di tonnellate da olio di pesce. Ne risulta che nel rapporto FM/FO di 6 :1, l’olio di pesce rappresenta il fattore limitante.

Nel corso delle ultime due decadi, sono state sviluppate numerose ricerche , prevalentemente sui salmonidi, focalizzate a valutare la possibilità di utilizzare sorgenti proteiche alternative alla farina di pesce, focalizzando l’attenzione su piante proteiche. Solo recentemente questo tipo di studi è stato esteso alle specie marine di interesse economico per l’acquacoltura mediterranea, quali spigola ed orata. I risultati   mostrano come la sostituzione parziale di proteine di sorgente marina con alcune proteine di origine vegetale, non influisce significativamente sulla crescita e sulla conversione da parte dei pesci (Francis et al., 2006). Allo stesso tempo, la sostituzione parziale di  olio di pesce con oli vegetali in mangimi per varie specie è stato l’obiettivo di progetti di ricerca comunitari (RAFOA-Q5RS-2000-30058, Quinto EU-FP), i cui risultati mostrerebbero che la sostituzione di elevate percentuali di FO con VO è possibile in mangimi destinati a specie quali salmone atlantico, trota iridea, orata, spigola, senza che la crescita o la conversione alimentare ne siano significativamente influenzate (Tibaldi et al., 2006).

Tuttavia alcuni problemi possono verificarsi nel pesce, infatti la sostituzione di FO con VO aumenta l’incidenza di cataratta in salmone atlantico. Inoltre, alcuni parametri emetici suggeriscono che il pesce alimentato con dieta costituita da VO possa essere maggiormente sensibile allo stress. Molti studi condotti a questo proposito indicano come anche in assenza di un  apparente effetto sulle performance di crescita, una sostanziale sostituzione di proteine ed olio di pesce causa un certo numero di alterazioni metaboliche nei pesci rigorosamente carnivori, le quali possono alterare la qualità nutrizionale del pesce destinato al consumo umano. Si tratta di effetti ancora poco noti, tuttavia esiste evidenza che la composizione delle carni, l’adiposità e la distribuzione dei grassi in differenti organi e tessuti, può essere influenzata dalla qualità delle proteine della dieta. Inoltre una percentualmente elevata sostituzione di olio di pesce ha come conseguenza una riduzione nel livello di n-3 HUFA (Highly Unsaturated Fatty Acids) ed un aumento nel contenuto di n-6 PUFA (Poly Unsaturated Fatty Acids) nel filetto. Si tratta di un aspetto meno studiato nel caso di specie mediterranee, malgrado una importante sostituzione di olio e proteine di pesce con forme vegetali, pur non compromettendo, almeno nell'apparenza sperimentale, la crescita del pesce, potrebbe causare problemi alla salute del consumatore umano che verrebbe ad essere privato dell’atteso apporto di acidi grassi preziosi e ricercati proprio nella dieta a base di pesce (Tocher et al., 2000).

Diventa pertanto indispensabile approfondire la conoscenza di meccanismi che controllano l’energia metabolica e che determinano l’omeostasi lipidica nel pesce. I livelli ottimali di  acido docosaesaenoico (DHA, 22:6n-3), eicosapentaenoico (EPA, 20:5n-3) ed arachidonico (ARA, 20:4n-6) nella dieta sono stati studiati sulle principali specie.  E’ noto che le specie marine richiedono sostanziali apporti di HUFA nella dieta, mentre le specie di acqua dolce possono, almeno in parte, la capacità di sintetizzare EPA e DHA dall’acido linolenico (LNA, 18:3n-3) e di  ARA dall’acido linoleico (LA) 18:2n-6 (Seiliez et al., 2003;  Tocher et al., 2002). Ciò è dovuto alla presenza di enzimi quali desaturasi ed elongasi, tuttavia, nelle specie marine, la trasformazione di LNA in EPA e DHA è molto lento, rendendo necessario un apporto del completo fabbisogno di HUFA con la dieta. Sebbene la cosa sia nota da tempo, il meccanismo alla base non è ancora sufficientemente noto, così come rimangono sconosciuti i meccanismi molecolari coinvolti nella biosintesi di HUFA nel pesce, al fine di poter intuire quali composizioni di oli vegetali potrebbero effettivamente essere utilizzate per una sostituzione dell’olio di pesce. Tra i geni coinvolti nel metabolismo lipidico dei pesci marini, sono comunque sufficientemente noti la Fatty Acyl ∆6 desaturasi e la PUFA elongasi, enzimi responsabili di due importanti passaggi nel processo di biosintesi di HUFA quali desaturazione ed allungamento della catena carboniosa, così come i peroxisome proliferator-activated receptor (PPARs), Acyl-CoA oxidase, Apolipoprotein E and Malic enzyme, sono considerati geni chiave. I messaggeri di questi geni (mRNA) ha infatti mostrato di essere influenzato sia dallo stato nutrizionale dei pesce che dal tipo di dieta somministrata (Diez et al., 2007; Seiliez et al., 2003).

Studi recenti affrontano le possibilità offerte dai cosiddetti “alimenti funzionali”, i quali potrebbero alleviare gli effetti negativi di un’alimentazione con elevate componenti lipidiche nella dieta, oppure con carenza di HUFA nei sostituti vegetali (Kennedy et al., 2007).  I questo contesto, l’acido linoleico coniugato (CLA) sembrerebbe offrire alcuni benefici sia nel metabolismo dei pesci che nel metabolismo lipidico della specie umana. Infatti CLA sembra in grado di influire sull’espressione di un numero di geni di importanza cruciale nel mantenimento dell’omeostasi lipidica, inclusa l’attività codificante del gene reduttasi.

Tuttavia mancano studi molecolari relativi a pesci di taglia commerciale e mancano studi sulle specie marine che come è noto, possiedono un diverso metabolismo lipidico rispetto ai pesci di acqua dolce, specialmente per quanto riguarda gli HUFA.

La limitata disponibilità di risorse della pesca rendono non sostenibile l’impiego esclusivo di olio di pesce nelle diete per i pesci di allevamento. La sostituzione contestuale di olio di pesce e di farina di pesce con sorgenti vegetali deve pertanto rappresentare una priorità assoluta nella ricerca di un’alimentazione per l’acquacoltura sostenibile.

 

Genomica funzionale nei moderni studi di alimentazione in acquacoltura 

Riconoscendo che i nutrienti: 1) modificano l’espressione genica, 2) possono modificare il normale metabolismo, e 3) influenzano lo stato di salute (Corthésy-Theulaz et al., 2005), la comunità scientifica è sempre maggiormente coinvolta nell'affrontare le relazioni esistenti tra dieta, stato di salute, welfare, e processi patologici, mediante applicazione di tecniche molecolari di studio (Kaput and Rodriguez, 2004; Davis and Hord, 2005). Le sub-discipline quali la genomica funzionale e la nutrigenomica affrontano lo studio dell’influenza delle sostanze contenute nella dieta, nel metabolismo dei pesci (Müller and Kersten, 2003; Mutch et al., 2005).

Negli studi nutrizionali il profilo di espressione dei geni può essere utilizzato con tre distinti obiettivi (Müller and Kersten, 2003):

1) Identificare e caratterizzare i processi molecolari di base su quali possono essere esercitate influenze, positive o negative, da parte dei nutrienti;

2) Interferire con i meccanismi specifici che scatenano detti effetti positivi o negativi;

3) Identificare specifici geni influenzabili dai nutrienti, che possono essere utilizzati come candidati descrittori o biomarker.

Perciò i più attuali argomenti di ricerca sulla nutrizione dei pesci trovano un valido strumento di indagine proprio nella genomica funzionale. Per esempio, anche la parziale sostituzione di FM con idrolizzati proteici, richiedendo l’aggiunta di alcuni aminoacidi essenziali (EAA) in forma di di- e tri-peptidi, apre questioni complesse che coinvolgono in modo determinante l’economia dei processi di preparazione dei mangimi, quali ad esempio l’affinità di questi con i trasportatori intestinali, quali PepT-1 (Terova et al., 2009). Questo tipo di studi  può fornire precocemente informazioni sulle risposte del pesce a livello cellulare, dobbiamo peraltro rilevare che durante gli ultimi 8 anni gli studi di genomica funzionale e di nutrigenomica in acquacoltura sono stati sempre più numerosi. Un numero sempre più elevato di Expressed Sequence Tags (ESTs) relative alle specie allevate è stato sequenziato e reso disponibile sulle banche geniche internazionali. Alcuni degli studi condotti sulla spigola presso il nostro stesso Dipartimento, hanno riguardato gli effetti del digiuno e della successiva ri-alimentazione e sono riportati in lavori di Terova et al. (2006; 2007a; 2007b; 2008; 2009) e riguardano, tra altri, enzimi digestivi (progastricsina), ormoni  oressigenici (grelina), trasportatore del glucosio,  insulin-like Growth Factors (IGFs), miostatina, trasportatori intestinali. Altri studi riportati in letteratura riguardano  gli effetti sul sistema somatotropo di salmone atlantico della sostituzione di proteine di pesce con proteine vegetali. Tra questi gli studi di Hevrøy et al. (2008), condotti sui livelli di mRNA di geni target quali GH, GH-R, IGF-I, IGF-II, IGFBP-1, IGF-IR, oltre a CCK-L, in cervello, fegato, muscolo e plasma. Gli autori hanno riportato come una riduzione della razione, così come una dieta basata su proteine vegetali abbia comportato riduzioni nella crescita o comunque alterazioni rilevanti rispetto ai controlli alimentati con farina di pesce.

Gómez-Requeni et al. (2005), hanno studiato l’attività dell’asse somatotropico in giovani trote iridee (Oncorhynchus mykiss) alimentate con farina di pesce oppure con farine vegetali, trovando una netta relazione con l’attività del gene per IGF-I. 

Le metodologie molecolari, ormai semplificate ed i costi sono del tutto comparabili, se non inferiori a quelli di analisi cromatografiche, sono uno strumento indispensabile per affrontare la produzione di qualità programmata in acquacoltura. Tuttavia, ad eccezione di poche specie, le banche dati geniche mancano di informazioni sulla maggior parte delle specie allevate. Tuttavia è evidente che l’approccio molecolare consente di avere informazioni precoci sullo standard di vita del pesce, per quanto concerne aspetti nutrizionali o di benessere. Si rendono inoltre necessari studi che consentano di comparare l’attività genica con la presenza in circolo delle rispettive proteine, i differenti condizioni allevamento e di alimentazione. 

 

Marco Saroglia e Genciana Terova,

Dipartimento di Biotecnologia e Scienze Molecolari, Università dell’Insubria, Varese