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Marco Arculeo - La tracciabilità dei prodotti ittici attraverso l

La globalizzazione dei mercati e la sempre minore disponibilità dei prodotti della pesca causato da un eccessivo sfruttamento ha determinato, soprattutto nell’ultimo decennio, un incremento della richiesta e una maggiore capacità di scambio soprattutto in quei paesi dove la domanda di prodotti surgelati e trasformati sono in continuo aumento. Ai prodotti della pesca bisogna aggiungere anche quelli che provengono dall’ acquacoltura. Nel 2017, abbiamo importato più di un milione di tonnellate di pescato con un aumento rispetto al 2016 del 3,6% in volume e del 4,2% in valore causando un peggioramento del deficit della bilancia commerciale di prodotti ittici superiore ai 5 miliardi di euro. Il nostro maggiore fornitore di prodotti ittici è la Spagna con il 22%, seguono Paesi Bassi (5,3%), Grecia e Regno Unito (4,5% ciascuno), e Francia (4%), mentre il 40% proviene da Paesi extra-UE. La maggior parte dei prodotti ittici, purtroppo, provengono da paesi extra UE a causa di: a) una maggiore preferenza dei consumatori su poche specie come, per esempio, seppie, calamari, polpi, naselli, sogliole, tunnidi; b) una scarsa disponibilità prodotti pescati o allevati in Italia che non sono sufficienti a soddisfare la domanda. Ciò può essere facilmente visibile visitando i banchi frigo della grande distribuzione per accorgersi che la quasi totalità dei prodotti ittici che vi si trovano provengono da zone FAO (GSA) non mediterranee. Fortunatamente il consumatore grazie alle norme italiane può, attraverso la lettura delle etichette, scegliere se acquistare o scartare tali prodotti; infatti, nelle etichette delle confezioni dei prodotti ittici commercializzati dalla grande distribuzione oltre ad altre utili informazioni quali produttore/trasformatore, data di scadenza, attrezzo di cattura utilizzato, metodo di conservazione, ecc., sono riportate il nome scientifico della specie e la zona FAO (GSA) di cattura/provenienza. Purtroppo, queste informazioni spesso non si trovano nella vendita al dettaglio come le pescherie dei mercati rionali dove il nome scientifico della specie e soprattutto la provenienza sono del tutto assenti. Tale mancata osservazione delle norme si riscontrano anche nella ristorazione che quasi sempre preferisce utilizzare per economicità prodotti importati extra UE senza darne diretta comunicazione al consumatore o indicarli nei loro menù. E’ ben noto che la tracciabilità dei prodotti ittici fornisce da un lato al consumatore le informazioni necessarie che gli consentono di conoscere la storia dell’alimento che consuma e dall’altro consente alle autorità preposte al controllo dei prodotti alimentari di avere un valido strumento per la rintracciabilità del prodotto in caso di emergenza alimentare e riconoscere eventuali frodi alimentari.

 

Fortunatamente oggi disponiamo di sistemi di analisi basati sul DNA profiling che ci permettono di stabilire correttamente la specie e di individuarne molto spesso anche la provenienza. Il metodo del DNA Barcoding, effettuato attraverso il sequenziamento di una regione del DNA mitocondriale come la Citocromo Ossidasi I (COI), viene utilizzato per la identificazione delle specie che vengono importate o commercializzate sotto forma di prodotti interi freschi o surgelati, sfilettati, già porzionati, conservati sott’olio o in altre forme al fine di garantire il consumatore sulla specie che si appresta a consumare. Infatti, le frodi alimentari dovute alla sostituzione di specie, rappresentano anche un rischio sempre più emergente per la salute dei consumatori a causa dell’ approvvigionamento di prodotti ittici importati da paesi extra UE che non rispondono a normative di controllo e tracciabilità che i paesi europei hanno adottato.

Esistono innumerevoli casi di frodi alimentari dovuti alla sostituzione di specie con altre di minore valore economico ed è possibile osservarlo nella vendita al dettaglio ad opera delle pescherie rionali o, in alcuni casi, anche nella grande distribuzioni con particolare riguardo ai prodotti surgelati o conservati sott’ olio.

L’utilizzo dei marcatori molecolari oltre ad essere un valido strumento per la identificazione delle specie può essere altrettanto utile ai pescatori al fine di certificare la provenienza di alcuni prodotti ittici di particolare importanza economica. Ci sono molte ricerche condotte negli ultimi anni su alcune specie di crostacei, pesci e anche molluschi in cui sono stati evidenziate particolari polimorfismi o aplotipi che ne tracciano, in Mediterraneo, la provenienza da aree geografiche talvolta anche piuttosto ristrette. E’ il caso della triglia di fango (Mullusbarbatus) del nasello (Merlucciusmerluccius), del gambero bianco (Parapenaeuslongirostris), della mazzancolla (Melicerthuskeraturus), giusto per citare qualche esempio. Così come in agricoltura esistono prodotti DOC, DOP o IGP, anche nella pesca si possono ipotizzare di utilizzare “marchi” che ne certificano la provenienza e le peculiarità organolettiche. I prodotti ittici pescati nei mari siciliani così come quelli provenienti da un’ acquacoltura responsabile, per esempio, potrebbero essere certificati attraverso una “tracciabilità genetica” che ne indichi la provenienza valorizzando così il prodotto; in pratica diamo un valore aggiunto al prodotto locale sempre più ricercato dal consumatore. Infine, la tracciabilità genetica potrebbe contribuire a sostenere, valorizzare e rilanciare alcune piccole imprese che sono dedite tradizionalmente alla pesca del pesce azzurro o di specie di scarso valore commerciale. Perché i pescatori siciliani non possono avere prodotti ittici IGP così come avviene per le acciughe del Mar Ligure?

 

Marco Arculeo – Dipartimento STEBICEF, Università di Palermo, marco.arculeo@unipa.it,

tel 091 23891831