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M. G. Lionetto - M.E. Giordano - R. Caricato - T. Schettino - Traffico marittimi e inquinamento da metalli pesanti IT.pdf | Download Share on Facebook |
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Fonti di inquinamento da metalli pesanti correlate al traffico marittimo
Il problema della contaminazione da metalli pesanti interessa principalmente mari confinati come il Mediterraneo e le zone costiere, portuali ed estuarine. La contaminazione da metalli pesanti in mare suscita grande interesse e allarme, per quanto concerne lo stato di salute delle popolazioni naturali ed anche la salute dell’uomo in relazione alla contaminazione degli alimenti provenienti dal mare, quali molluschi, crostacei e pesci.
Nel mare le principali fonti di inquinamento da metalli pesanti sono rappresentate dagli scarichi industriali, dagli scarichi urbani e dai traffici marittimi.
Per quanto riguarda i traffici marittimi l’inquinamento da metalli pesanti è dovuto principalmente alla corrosione delle superfici metalliche delle imbarcazioni e alle vernici “antifouling” utilizzate nell’industria navale per ricoprire le parti sommerse delle navi e delle imbarcazioni al fine di proteggerle dalle alghe e dai cirripedi che vi si attaccano. Le vernici “antifouling” sono composte da solventi organici mescolati con elevate concentrazioni di metalli tossici quali rame, zinco e stagno; l’analisi della composizione chimica di tali vernici ha rilevato percentuali medie di rame e zinco di circa 15-30% e di stagno del 5%. Nel caso delle navi commerciali le proprietà tossiche delle vernici sono ulteriormente accresciute da concentrazioni particolarmente elevate di rame e stagno.
Nelle zone costiere e portuali la concentrazione di metalli pesanti decrementa procedendo dalla superficie verso il sedimento (Kelderman et al., 2000). E’ noto che i sedimenti rappresentano un compartimento di accumulo (Forstner e Wittman, 1983) per i metalli pesanti, i quali, così intrappolati, non sono disponibili ad interagire con gli organismi viventi. Come riscontrato da Laws nel 1993 la concentrazione di metalli pesanti nei sedimenti è molto più elevata che nell’acqua e ciò è valido anche in acque ritenute “non contaminate”. A tal proposito, sta emergendo un problema che correla, anche se indirettamente, i traffici marittimi con la contaminazione da metalli pesanti. Il dragaggio dei sedimenti, necessario nella costruzione e ampliamento dei porti e canali adibiti alla navigazione, comporta, tuttavia, gravi rischi dal punto di vista dell’inquinamento delle acque. Infatti, le operazioni di dragaggio possono provocare una ridistribuzione dei metalli pesanti accumulati nei sedimenti con conseguente contaminazione delle acque sovrastanti (Bloom e Lasorsa, 1999; De Carvalho et al., 1998). I sedimenti delle aree costiere in prossimità di scarichi industriali o urbani sono largamente contaminati da metalli quali zinco, piombo, cadmio, rame e mercurio, la cui concentrazione nei sedimenti generalmente supera quella dell’acqua sovrastante di 3 e in alcuni casi di 5 ordini di grandezza (Luoma and Bryan, 1981; Bryan e Langston, 1992).
Effetti biologici dei metalli pesanti
Generalmente i metalli pesanti vengono distinti in essenziali e non essenziali. I metalli pesanti essenziali, quali zinco, rame, ferro, cobalto, in concentrazioni minime, svolgono un ruolo essenziale nella biologia degli organismi come costituenti di enzimi e pigmenti respiratori. Tuttavia, concentrazioni superiori alle dosi fisiologiche diventano tossiche. I metalli pesanti non essenziali come cadmio, mercurio e piombo, non svolgono alcuna funzione biologica attualmente riconosciuta e sono, pertanto, tossici anche a concentrazioni estremamente basse.
La tossicità primaria dei metalli pesanti si esercita a livello delle componenti molecolari e cellulari dell’organismo e deriva dalla loro capacità di interagire con i gruppi funzionali (sulfidrilici, carbossilici, imidazolici) delle molecole biologiche quali proteine, lipidi, acidi nucleici e carboidrati, alterandone così la funzionalità (Viarengo 1985, Lionetto et al., 1998; Lionetto et al., 2000). L’ampio spettro di interazioni di tali elementi con le componenti molecolari-cellulari spiega la loro azione tossica così ampia e diffusa sugli organismi viventi. Gli effetti a livello molecolare e cellulare si possono riflettere successivamente in modificazioni dei processi fisiologici dell’intero organismo quali respirazione, digestione, escrezione e riproduzione.
La pericolosità di tali elementi deriva anche dalla loro tendenza ad accumularsi nei tessuti degli organismi, il che permette loro di trasferirsi lungo le catene alimentari fino ad arrivare all’uomo attraverso il consumo di pesci, molluschi e crostacei.
Uso di “biomarkers” per la valutazione dell’esposizione di organismi marini ad inquinamento da metalli pesanti
Ai fini di una completa valutazione dell’inquinamento delle acque da composti tossici quali i metalli pesanti la moderna tossicologia ambientale ha progressivamente sviluppato un nuovo approccio metodologico basato sulla valutazione delle risposte che gli organismi producono nei confronti di uno stress chimico ambientale. Infatti, sin dagli anni settanta nel campo del monitoraggio ambientale è emersa l’importanza di abbinare ai dati relativi alla concentrazione di inquinanti nell’acqua, nei sedimenti e nei tessuti degli organismi i dati in grado di descrivere gli effetti biologici di questi composti (Goldberg, 1978; 1980). A differenza dell’approccio chimico, l’approccio biologico fornisce informazioni sulla biodisponibilità di tali elementi ad interagire con gli organismi viventi. L’approccio biologico ha portato all’identificazione dei cosiddetti “biomarkers” molecolari e cellulari o “indici cellulari di stress” (Bayne et al., 1979; Shugart et al., 1992; Depledge e Fossi, 1994). Viene convenzionalmente definito biomarkers molecolare e cellulare “quella variazione indotta da un contaminante a livello delle componenti biochimiche o cellulari di un processo, di una struttura o di una funzione che può essere misurata in un sistema biologico” (NRC, 1989). I biomarkers possono mettere in evidenza in opportuni organismi sentinella le risposte biologiche agli agenti tossici ambientali fornendo quindi un mezzo per la precoce individuazione della sindrome di stress indotta da inquinanti al livello cellulare e di organismo prima che si realizzino severe alterazioni nell’ambiente a livello di popolazione/comunità.
Il biomonitoraggio prevede l’applicazione di batterie di biomarkers alcuni dei quali rappresentano indici di stress generici, in grado cioè di evidenziare una generica sindrome di stress dovuta all’insieme di contaminanti accumulati nei tessuti animali, altri rappresentano, invece, indici di stress specifici, in grado cioè di segnalare il tipo di inquinante responsabile degli effetti tossici.
Il biomarker specifico di inquinamento ambientale da metalli pesanti è rappresento dai livelli cellulari di metallotioneine. Esse costituiscono una particolare classe di proteine ricche di gruppi
-SH per i quali i cationi metallici presentano alta affinità. Le metallotioneine sono ubiquitarie in quanto isoforme differenti di tali proteine sono state riscontrate in vertebrati e invertebrati acquatici, ma anche in mammiferi, in rettili ed in uccelli. Le metallotioneine, la cui sintesi “de novo” viene indotta da un aumento della concentrazione di cationi di metalli pesanti all’interno del citoplasma cellulare, legandosi ad essi li neutralizzano in una forma non tossica. In tal modo le metallotioneine rappresentano un importante meccanismo di detossificazione che l’organismo possiede per difendersi dall’esposizione ad inquinamento da metalli pesanti; pertanto, aumentati livelli di metallotioneine nei tessuti di organismi marini rappresentano un indice specifico di esposizione degli organismi a inquinamento da metalli pesanti (Roesijadi, 1992).
Un esempio di utilizzo dei biomarkers nella valutazione dell’inquinamento da metalli pesanti in relazione ai traffici marittimi proviene da uno studio attualmente in corso nel Laboratorio di Fisiologia Ambientale dell’Università di Lecce nell’ambito del progetto INTERREG Italia-Grecia. La misura dei livelli di metallotioneine in organismi bioindicatori (Mytilus galloprovincialis) campionati in due aree portuali e in una zone di interesse naturalistico è riportata in Fig.1. Come rappresentato nell’istogramma i livelli di metallotioneine (determinati nella ghiandola digestiva di mitilo secondo il metodo descritto da Viarengo et al., 1997) sono significativamente più elevati in esemplari provenienti dai porti di Brindisi e Otranto (LE), rispetto a quelli riscontrati in organismi provenienti dall’area di Castro (LE) (zona di interesse naturalistico). Inoltre, il porto di Brindisi presenta livelli di metallotioneine mediamente più elevati rispetto a quelli rilevati nel porto di Otranto, probabilmente in relazione alla presenza di attività industriali oltre a quella dei traffici marittimi.
Grazie alla loro capacità di legare in modo specifico gli ioni metallici, le metallotioneine rappresentano un biomarker “di esposizione” ideale per il monitoraggio dei livelli di contaminazione da metalli pesanti degli ambienti acquatici. Pertanto, l’individuazione di risposte cellulari immediate agli inquinanti (es. induzione di sistemi detossificanti come le metallotioneine), può rappresentare il primo campanello di allarme di situazioni di stress chimico ambientale.
Data la presenza nell’ambiente acquatico di diverse fonti di contaminazione da metalli pesanti, diventa estremamente importante ricorrere a questi moderni mezzi di indagine per la salvaguardia della qualità delle acque e per la tutela degli organismi che in esse vivono, individuando per tempo situazioni a rischio che potrebbero causare alterazioni a livello di popolazione e comunità.
Lionetto M.G., Giordano M.E., Caricato R., Schettino T.
Laboratorio di Fisiologia Generale e Ambientale, Dipartimento di Biologia,
Via prov.le Lecce-Monteroni, 73100 Lecce
Referenze
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