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Leonardo Tunesi - Biodiversità e aree marine protette: necessità di dare organicità alle iniziative nazionali, europee e mediterranee 2

L’estrema importanza della diversità biologica è ormai riconosciuta a scala planetaria. La Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), firmata a Rio De Janeiro nel 1992, costituisce uno degli impegni politici di maggior rilevanza a livello mondiale per la conservazione ambientale.

Le minacce alla biodiversità del Mediterraneo sono ascrivibili a cinque principali categorie (Cattaneo-Vietti e Tunesi, 2007): perdita di habitat, intenso sovra-sfruttamento delle risorse, inquinamento e sedimentazione, introduzioni di specie, cambiamenti climatici.

Numerosi accordi internazionali (ad es. UNCLOS -United Nations Convention on the Law of the Sea, CBD, Convenzione di Barcellona, Direttive dell'Unione Europea Habitat e Natura 2000) riconoscono alle aree marine protette (AMP) un ruolo chiave per la conservazione dell’ambiente marino, per favorire l’uso sostenibile delle risorse marine e contrastare efficacemente la perdita di biodiversità.

Le AMP svolgono un ruolo strategico perché sono “strumenti ideali” per rispondere a tre necessità prioritarie per lo sviluppo sostenibile delle aree costiere e marine: conservare la biodiversità marina, mantenere la produttività degli ecosistemi e contribuire al benessere economico e sociale delle comunità umane. Infatti l'istituzione di AMP, se condotta su basi corrette, è l’anello trainante del processo d’integrazione tra le esigenze di protezione delle risorse e quelle di sviluppo, assicurando un miglioramento nella qualità della vita delle popolazioni rivierasche e la presenza di strutture idonee a diffondere l'idea di una più profonda conoscenza e di un maggior rispetto dei sistemi naturali.

L'Unione Europea è pienamente conscia della specificità della “realtà marina” in materia di conservazione e del ruolo importantissimo delle aree protette marine. Queste infatti sono considerate strumenti essenziali per il successo della conservazione ambientale e per la protezione delle biodiversità marina da tutti i principali documenti elaborati dall'Unione Europea (Direttiva 92/43/CEE, Direttiva 60/2000, SEBI 2010, Piano d’Azione Europeo per la Biodiversità,  regolamenti della pesca, definizione della Marine Strategy Framework Directive). Il Sesto Programma d’Azione Ambientale della Comunità Europea ha identificato “natura e biodiversità” quali temi prioritari d’azione; inoltre questo programma prevede, in modo prioritario, la creazione del network Natura2000 (art. 6.2.a), e l’ulteriore protezione di aree marine, sia mediante detto network, sia applicando ogni altro metodo previsto a livello Comunitario (Art. 6.2.g.). Ancora, la Comunità Europea, in qualità di contraente della CBD, ha predisposto una Strategia dell’UE per la Biodiversità, e Piani d’Azione per la Biodiversità (quali quello per le Risorse Naturali e quello per le Attività di Pesca), che si propongono di favorire l’integrazione del tema “Biodiversità” nelle altre Politiche Comunitarie. Sempre la Commissione ha adottato nel 2006, facendo riferimento alle priorità identificate nel “Message from Malahide”, un Comunicato per “Arrestare la perdita di biodiversità per il 2010 e oltre” (CEC, 2006), la cui prima azione richiede di accelerare gli sforzi per finalizzare il Network Natura2000, ponendo particolare enfasi alla realtà marina. Si ricorda infatti che questa azione ha richiesto:

  • Il completamento del network marino delle aree di protezione speciale (ZPS) entro il 2008;
  • L’adozione delle liste dei siti di interesse comunitario (SIC) per il mare, per il 2008;
  • La designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC), definendone le priorità gestionali e le necessarie misure di conservazione per quelle marine, per il 2012;
  • La definizione di misure di gestione e di conservazione per le ZPS marine, per il 2012.

Tutto ciò evidenzia in modo chiaro un aspetto fondamentale: le aree protette marine sono considerate strumenti chiave per perseguire efficacemente gli obiettivi del Piano d’Azione per la Biodiversità.

La CEE con la Direttiva Habitat (92/43/CEE) ha previsto la creazione di una rete ecologica europea coerente di Zone Speciali di Conservazione (ZSC), denominata “Natura2000”, per conservare la biodiversità considerando nel contempo le esigenze economiche, sociali, culturali, regionali e locali, e riconoscendo il valore della presenza storica dell’uomo e delle sue attività tradizionali. La Direttiva prevede che gli Stati Membri o, in casi eccezionali, la stessa Comunità Europea, designino specifiche aree protette, Siti Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS, in riferimento a quanto stabilito dalla Direttiva Uccelli Selvatici 79/409/CEE). La designazione dei SIC deve avvenire sulla base della valenza del singolo sito per gli habitat e le specie di importanza comunitaria; nello specifico i SIC devono essere istituiti in funzione della presenza di habitat e di specie di cui agli annessi I e II della Direttiva Habitat, mentre le ZPS devono essere stabilite sulla base delle specie elencate nell’allegato I della Direttiva 79/409/CEE (Tunesi et al., 2008).

I siti marini designati complessivamente dai 27 Stati Membri sino al mese di giugno 2008, sono costituiti da 1.238 SIC (128.969 km2) e 537 ZPS (Direttiva Uccelli per complessivi 83.781 km2) (ETC/BD, 2008). In questo ambito, i dati complessivi relativi all’Italia sono i seguenti: 255 SIC (5.368 km2) e 45 ZPS (4.036 km2) (Tunesi et al., in stampa).

L’idea di “Rete Natura2000” richiede la creazione di un sistema di aree protette in grado di concretizzare la conservazione degli habitat e delle specie prioritarie mediante l’istituzione di ZSC allocate in modo organico e funzionale a scala locale, nazionale, di mare, europeo. Il raggiungimento di questo obiettivo, anche solo a scala nazionale, è molto impegnativo. L’esempio costituito dall’habitat prioritario “prateria di Posidonia” può essere considerato emblematico per l’Italia. Infatti, nonostante costituisca uno dei pochi “habitat” per i quali gli Stati europei mediterranei sono stati messi in grado di operare efficacemente (perché chiaramente identificato), e l’Italia si sia dotata di una cartografia che copre tutti i fondali costieri nazionali, la rete di SIC proposti per la sua protezione non ha ancora copertura omogenea (Agnesi et al., 2008).

In Italia l’istituzione di zone marine protette nazionali a fini conservazionistici è prevista a partire dalla legge 979/1982 “Disposizioni per la Difesa del Mare”, seguita nel 1991 dalla Legge 394 e da successive (Cattaneo-Vietti e Tunesi, 2007). Per questo motivo, nel 1992, anno di pubblicazione della Direttiva Habitat, l’Italia disponeva già di un quadro normativo in materia di aree marine protette (AMP) che, ad oggi, ha portato all’individuazione di oltre 51 aree marine di reperimento, all’istituzione di 25 AMP, ed alla ratifica dell’accordo per il Santuario Pelagos, per la protezione dei Cetacei.

In questo modo Natura2000 è diventata una “realtà parallela” a quella costituita dalle AMP, con procedure proprie, definite sulla base di quanto previsto dalla Direttiva europea (Tunesi et al., 2008). A questo proposito l’Italia ha proceduto alla individuazione dei siti dando incarico alle Regioni e alle Province autonome. Queste Realtà, a suo tempo, hanno presentato formale richiesta di designazione alla Direzione Generale per la Protezione della Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM). Il MATTM a sua volta ha trasmesso alla CE l’elenco di siti e, dopo la loro pubblicazione da parte della Commissione, ha pubblicato le liste dei siti italiani con un proprio Decreto, prevedendone la designazione come Zone Speciali di Conservazione (ZSC), d’intesa con le Regioni e le Province autonome interessate. Tuttavia manca un raccordo organico tra le ZSC e quanto previsto dalla normativa nazionale in materia di AMP. Questa carenza evidenzia la chiara necessità di soluzioni normative in grado di dare maggiore organicità ed efficacia alla protezione della biodiversità marina a livello nazionale e, a questo proposito, l'Italia potrebbe ispirarsi a quanto fatto da altri Stati dell'Unione quali, ad esempio, Germania e Gran Bretagna (Tunesi et al., 2009).

La creazione di Rete NATURA2000 è un processo ancora pienamente in corso e l'esempio di quanto realizzato da altri Stati europei deve stimolare l’Italia a superare la situazione attuale. Il nostro Paese deve essere in grado di mettere a sistema le diverse tipologie di aree protette marine attualmente previste, integrando in modo organico quanto previsto a livello nazionale ed europeo con le valenze conservazionistiche propriamente mediterranee che trovano specifico riscontro nel quadro di quanto definito dalla Convenzione di Barcellona.

Leonardo Tunesi

ISPRA - Via Casalotti, 300 – Roma, Italia.

leonardo.tunesi@isprambiente.it

 

Bibliografia

AGNESI S., CASSESE M.L., MO G., TUNESI L. (2008) - Sites of Community Importance for Posidonia oceanica: tools for conservation in Italy. Biol. Mar. Mediterr., 15 (1): 298-299.

Cattaneo Vietti R., Tunesi L. (2007) - Le aree marine protette in Italia. Problemi e prospettive. Aracne Editrice srl, Roma: 252 pp.

CEC (2006) - Communication from the Commission. Halting the loss of biodiversity by 2010 – and beyond. Sustaining ecosystem services for human well-being. Brussels, 22.5.2006. COM(2006) 216 final: 15pp.

ETC/BD (2008) - Status of the Natura 2000 network in the marine environment – June 2008. European Topic Centre on Biological Diversity, Paris: 26 pp.

Tunesi L., Agnesi S., Di Nora T., Mo G. (2008) - La conservazione della biodiversità marina alla luce delle iniziative europee. Biol. Mar. Mediterr., 15 (1): 463-472.

TUNESI L., AGNESI S., DI NORA T., MO G. (2009) - I siti di interesse comunitario in Italia per la creazione di una rete europea di aree marine protette. Biol. Mar. Mediterr., 16(1) : 48-54.