File | Azione |
---|---|
Giuseppe Cognetti - Strategie di conservazione nel Mediterraneo.pdf | Download Share on Facebook |
Due differenti tipi di attività influenzano negativamente il Mediterraneo: da una parte l’urbanizzazione, le industrie, l’agricoltura, il traffico marittimo, con il conseguente scarico di inquinanti, dall’altra lo sfruttamento irrazionale delle risorse: eccessivo sforzo di pesca, alterazione della fascia costiera per il turismo e in certi casi anche per l’acquacoltura. Come è visualizzato nella fig.1, mentre nelle attività del primo tipo gli operatori non sono direttamente interessati al problema della conservazione dal loro punto di vista economico, gli operatori interessati alle attività del secondo tipo hanno tutto l’interesse a proteggere l’ambiente attraverso precise regole di sviluppo, per non perdere la fonte di reddito. La conservazione ambientale si inserisce quindi nel sistema come una componente essenziale per la salvaguardia del patrimonio naturale e la utilizzazione razionale delle risorse e rappresenta quindi il punto di incontro fra i sistemi culturali e sociali da un lato e i sistemi naturali dall’altro. Questa concezione riguarda in particolare il Mediterraneo dove lo sviluppo delle attività produttive che è in crescente aumento, si scontra con la esigenza di mantenere inalterato il patrimonio naturale e di utilizzare le risorse in maniera equilibrata senza pregiudicare la loro disponibilità per le esigenze future. Essa è il fondamento di Agenda 21, il piano di azione messo a punto nell’ambito del congresso sulla situazione ambientale del pianeta organizzato nel 1992 dall’ONU a Rio de Janeiro, che evidenzia la necessità di conciliare le esigenze della conservazione degli oceani e della fascia costiera con quello dello sviluppo delle attività produttive.
Le cause della riduzione della biodiversità nel Mediterraneo sono molteplici e dovute principalmente agli inquinamenti, alle alterazione della fascia costiera, all’eccessivo sfruttamento delle risorse biologiche, all’introduzione di specie estranee. (Cognetti e Curini Galletti, 1993).
La diminuzione della diversità specifica nelle comunità bentoniche si riscontra frequentemente lungo le coste in corrispondenza di centri urbani o industriali, alle foci dei fiumi e sui fondali oggetto di scarichi.
Molti biotopi lagunari sono andati sempre più deteriorandosi in questi ultimi anni per l’immissione di inquinanti o il mancato ricambio delle acque dovuto alla urbanizzazione e alla cattiva gestione dell’acquacoltura.
Sui fondali marini in cui sono stati effettuati dragaggi o scaricati materiali di riporto che hanno portato alla distruzione delle comunità originarie, si ricostituiscono spesso per fenomeni stocastici comunità differenti da quelle limitrofe anche se il tipo di substrato è il medesimo.
Lo sfruttamento eccessivo delle risorse e il degrado ambientale hanno gravemente danneggiato il Mar Nero dove molte specie sono in pericolo di estinzione.
La pesca intensiva del tonno e del pesce spada con le reti derivanti lunghe oltre 10 Km è gravemente dannosa sia alle risorse ittiche, perché non selettiva, sia a tartarughe, cetacei, uccelli marini, che trovano la morte rimanendo impigliati in questo muro di nylon disteso da centinaia di battelli per migliaia di Km. Si calcola che ogni anno in Mediterraneo vengano uccisi dalle spadare circa 5.000 stenelle (Stenella coeruleoalba) la cui popolazione mediterranea è valutata in totale di circa 100.000 individui. Insieme a questi delfini vengono uccisi anche altri cetacei assai meno numerosi, quali i capodogli e i globicefali la cui popolazione è limitata nel Mediterraneo a poche centinaia di individui. La UE ha emesso la direttiva n° 345/1992 he limita la lunghezza di tali reti a un massimo di 2,5 Km e che comunque secondo il decreto del 1991 del Governo italiano non devono essere utilizzati nel Mar Ligure- Provenzale. Inoltre dal 1° giugno del 2002 la Direttiva Europea prevede l’interdizione totale delle derivanti. Il problema però rimane perché i pescatori non appartenenti alla UE non sono vincolati da queste regole e possono così continuare a operare al di fuori delle acque territoriali.
La riduzione della diversità genetica può determinare la diminuzione della potenzialità evolutiva di fronte a cambiamenti delle condizioni ambientali. Da qui la sempre maggiore attenzione a questi problemi quando si opera nel settore della conservazione per evitare di vanificare i tentativi di proteggere specie rare o minacciate (Mc Cauley, 1991)
. Un altro fattore di grave disturbo negli equilibri biologici del Mediterraneo è l’introduzione continua di specie alloctone che avviene attraverso il canale di Suez (specie lessepsiane), il trasporto attraverso le acque di zavorra e le carene delle navi, l’importazione di specie ai fini dell’acquacoltura o dell’acquariologia amatoriale. Ben noto è il caso di Caulerpa taxifolia alga tropicale comparsa una decina di anni fa sulle coste provenzali il cui areale è in continua espansione sostituendosi ad altre specie algali e alla posidonia (Ribera et al., 1996).
Nel quadro di una moderna politica di conservazione e di corretta gestione ambientale, le aree marine protette hanno assunto un ruolo sempre più importante nel Mediterraneo soprattutto lungo le coste europee. Gli obbiettivi possono essere molteplici: salvaguardia di biocenosi, garanzia di uno spazio vitale per specie minacciate di estinzione, aree di riposo biologico per il miglioramento dei rendimenti di pesca, aree destinate al ripopolamento ecc. In un parco marino, oltre a zone integralmente protette, vi sono anche zone adibite alla sperimentazione, ad attività di pesca regolamentata, alla prospezione subacquea a fini scientifici e culturali. Il parco come insegna l’esperienza di molti paesi diviene così anche un centro di attrazione turistica. Pertanto il concetto moderno di conservazione ambientale e di sviluppo sostenibile, individua nel parco marino, soprattutto lungo le coste dei paesi industrializzati un centro di difesa del mare con una funzione scientifica e culturale e contribuisce alle attività produttive nel quadro degli equilibri naturali della regione (Cognetti, 1991).
Molti parchi marini del Mediterraneo hanno annessi laboratori organizzati per il controllo ecologico dell’area e per la didattica. Alcuni parchi sono stati istituiti in collegamento con importanti centri di studio limitrofi quali ad esempio quello francese antistante Banyuls, dove esiste da più di un secolo il Laboratorio di biologia marina di Arago, quello spagnolo nell’isola di Tabarca collegato con l’Università di Alicante, quello di Monaco collegato con il Museo Oceanografico, quello dell’isola di Zembra in Tunisia con annesso il laboratorio di biologia marina di Salammbo.
In Francia oltre ai parchi marini vi sono aree marine protette integralmente ai fini esclusivi della pesca che non prevedono l’inclusione della fascia costiera (Cantonnements) e alla cui gestione partecipano attivamente i pescatori locali. La loro funzione è di salvaguardare zone di riproduzione e di reclutamento, garantire un riposo biologico dove intenso è lo sforzo di pesca, favorire l’irradiamento di specie pregiate. In Spagna i parchi marini oltre al compito educativo e scientifico e di salvaguardia delle biocenosi, funzionano anche come centri di attrazione turistica e hanno aree pilota per lo sviluppo della pesca (Ramos Esplà, 1994).
In Croazia si distinguono parchi terrestri che spesso includono l’area marina costiera controllati direttamente dallo stato, riserve naturali dipendenti dai comuni e riserve naturali speciali con propria legge istitutiva orientate ai fini della pesca e dell’acquacoltura come quelle di Malonstrom e del Limski Canal.
In Grecia alcuni parchi marini in base a una specifica legge del 1986 sono mirati alla protezione della foca monaca (Zacinto, Sporadi settentrionali) e delle tartarughe marine.
Lungo le coste italiane sono in via di istituzione numerosi parchi marini ma per il momento sono pienamente funzionanti solo quelli dell’isola di Ustica (Palermo) e di Miramare (Trieste) che hanno annessi laboratori per la ricerca e la didattica, e la riserva integrale dell’isola di Montecristo con lo spazio marino circostante, nell’arcipelago toscano.
Nel Mar Nero le aree marine protette sono incluse nei parchi terrestri. In Crimea vi sono parchi che comprendono vaste aree marine dove sono autorizzate solo le attività scientifiche e didattiche.
In base alle convinzioni già da tempo espresse dalla comunità scientifica sulla incongruenza fra confini amministrativi e confini degli ecositemi per una più efficace conservazione dei biotopi costieri, il Consiglio d’Europa organizzò a Bastia nel 1991 un convegno internazionale su questo tema. In quel convegno furono avanzate proposte concrete per la creazione di parchi marini transfrontalieri nel Mediterraneo gestiti congiuntamente da nazioni confinanti e con strutture comuni per le attività didattiche e di ricerca.. Una proposta riguarda ad esempio la creazione di un parco tranfrontaliero sardo-corso alle Bocche di Bonifacio comprendente il parco marino di Lavezzi in Corsica e il parco dell’arcipelago della Maddalena (Sardegna) recentemente istituito.
Una iniziativa presa congiuntamente da Francia, Italia e Principato di Monaco sulla base delle proposte dell’Associazione RIMMO (Reserve Internazionale Maritime en Méditerranée Occidentale) riprende il Progetto Pelagos che fu promosso dal Rotary International e riguarda la tutela di una vasta area del Mar Ligure-Provenzale compresa fra Capo Corso, le coste della Provenza e della Liguria occidentale dove, come si è detto, vi è la più alta concentrazione di cetacei di tutto il Mediterraneo. Il progetto è in avanzata fase di realizzazione ed è seguito dal Museo Oceanografico di Monaco e dall’Università Internazionale del Mare, istituita nel 1996 a Cagne sur Mer (Nizza).
I parchi marini transfrontalieri garantirebbero una più ampia e articolata protezione delle biocenosi e di specie in pericolo, in base alla Convenzione di Berna per la salvaguardia della natura e fornirebbero mezzi più efficaci di controllo e di intervento. Inoltre consentirebbero una migliore cooperazione internazionale per gli aspetti educativi e di formazione.
La proposta dei parchi transfrontalieri è un passo importante in questa direzione perché si avrebbe la opportunità di sviluppare una educazione integrata sulla conservazione ambientale, il monitoraggio, le regole di VIA ecc., sulla base di scelte concordate fra docenti di differente nazionalità che lavorano insieme nella stessa struttura.
Un ruolo importante è svolto dalla Università delle NU che opera con propri programmi e centri di studio attraverso una rete mondiale di istituzioni associate. Il suo scopo è quello di impegnare attivamente la comunità scientifica internazionale su temi di grande attualità fra cui l’ambiente promuovendo e coordinando ricerche e corsi di formazione sia a livello globale che regionale. Ad esempio è stato siglato un accordo fra l’Università delle NU e l’Università di Sassari che riguarda la gestione integrata della fascia costiera marina e la organizzazione dei parchi marini in Sardegna.
La legislazione internazionale raccolta nella convenzione delle Nazioni Unite sulla legge del mare, stabilisce specifici diritti ed obblighi degli stati rivieraschi e fornisce le basi per la conservazione e lo sviluppo sostenibile dell’ambiente marino al fine di indirizzare gli sforzi verso la prevenzione del degrado. Le aree costiere sono riconosciute dalle Nazioni Unite come luogo di primaria importanza per la vita e lo sviluppo di gran parte della popolazione mondiale. L’”Agenda 21” (Rio de Janeiro 1992) dedica un intero capitolo alla loro protezione e gestione integrata.
La tutela degli spazi marini non può essere concepita indipendentemente dalla pressione demografica sulle coste e dagli interessi sociali ed economici soprattutto in un bacino come il Mediterraneo dove, soprattutto sulle coste europee, la competizione per l’utilizzazione della fascia costiera è in pieno sviluppo. Sulle coste meridionali tale competizione comincia solo adesso a svilupparsi con l’incremento del turismo, delle piattaforme off-shore e delle industrie. Qui le coste sono ancora in gran parte deserte e l’industrializzazione è all’inizio; esistono pertanto le condizioni ideali per affrontare la pianificazione della fascia costiera in un quadro di sviluppo sostenibile (Da Pozzo, 1996).evitando gli errori commessi dai paesi industrializzati. Tale criterio è entrato a far parte, sia pure in ritardo, della cultura dei paesi europei del Mediterraneo a causa delle più pressanti esigenze di salvaguardare gli ecosistemi, ma solo adesso nella pianificazione costiera, la protezione del mare integrata con le attività produttive comincia ad essere considerato un intervento funzionale e non eccezionale. Questa politica ambientale non può prescindere dalla cooperazione internazionale a tutti i livelli, ivi compresa l’educazione e la formazione ecologica delle nuove generazioni.
Prof. Giuseppe Cognetti
Commenti recenti