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Franco Prodi - Cambiamenti climatici ruolo della scienza nel contesto degli accordi internazionali ITA.pdf | Download Share on Facebook |
Mi sembra che in questo frangente del “dopo Copenhagen” sia il caso di riesaminare l’intera strategia che ci guida nel proteggere il pianeta dagli effetti dei cambiamenti climatici, di verificare quale sia il ruolo della scienza nell'impostare questa strategia, e di chiedersi se questa strategia sia la migliore per il destino a lungo termine dell’umanità. Il problema nodale è valutare il livello attuale della conoscenza scientifica sul sistema clima, la grande difficoltà di pesare la causa antropica nel cambiamento portandoci a suggerire obiettivi e strategia diversi dagli attuali mettendo in primo piano l’assoluta necessità del rispetto dell’ambiente planetario.
In una occasione precedente ho presentato uno schema divulgativo del sistema climatico, le cause naturali dei grandi cambiamenti del passato, il complesso ruolo dell’uomo industriale negli ultimi due secoli, i motivi che impediscono ancora di avere ora un modello di clima che ci porti a previsioni affidabili.
Ricordo ora che le cause antropiche vanno individuate nella immissione di gas serra in atmosfera per l’uso di combustibili fossili e per incendi di biomasse, negli allevamenti animali, nel traffico veicolare, nella immissione di particolato in atmosfera, nella deforestazione di ampie aree del pianeta, nel diverso uso dei suoli etc. Quale sia la parte della variazione climatica ascrivibile all'uomo sarà chiaro solo dopo che questi aspetti saranno conosciuti. Sono individuabili le difficoltà che ci impediscono di pesare la causa antropica del cambiamento climatico e quindi di prendere delle decisione avvedute su previsioni certe? Sottolineo, per la mia competenza nella fisica dell’atmosfera, quelle che derivano dal ruolo di aerosol, delle nubi e del ciclo dell’acqua nel sistema clima.
Come le nubi, anche l’aerosol atmosferico contribuisce alle variazioni del clima, con un effetto diretto fuori dalla nubi ed uno indiretto, sulle caratteristiche delle nubi stesse. Quello diretto è dovuto al fatto che le particelle sospese assorbono o diffondono la radiazione solare e infrarossa secondo il loro indice di rifrazione e secondo l’altezza alla quale si trovano. Già questi soli sarebbero effetti complessi da calcolare, ma gli aerosol hanno anche un effetto indiretto, sulla struttura delle nubi e quindi sul ciclo dell’acqua. Pensiamo anche qui ad un aspetto cruciale quando parliamo di cause antropiche di cambiamento. La superficie terrestre produce particelle in gran quantità con frammentazione eolica sui deserti e sugli oceani. L’uomo imita la natura e genera aerosol con gli stessi meccanismi. Tutti gli aerosol antropici sono già, in massa, il 20% di quello che producono tutti gli oceani, tutti i deserti, tutte le foreste ecc. ecc. E poi l’uomo non solo è quantitativamente in competizione con la natura ma qualitativamente produce particelle di caratteristiche che sono diverse anche da quelle naturali, che sono per la maggior parte solfati di ammonio, cloruro di sodio, ecc. Quindi abbiamo le basi per impostare la trattazione del contributo umano nella alterazione dell’ambiente planetario ed anche del clima. Ma per valutare l’alterazione del clima dobbiamo ricordare che ci troviamo sovrapposti ai climi del passato ed ai cicli che sono di circa quattrocentocinquantamila anni, con dei sotto-cicli di centocinquantamila anni e con altri sotto-sotto cicli. Abbiamo sperimentato nell'ultimo millennio, il caldo medievale e le piccole glaciazioni, senza che possiamo ancora spiegarle veramente. Quindi abbiamo, solo recentemente, l’uomo industriale: nel 1795 la macchina di Watt che arriva nel momento in cui gli strumenti inventati da Galileo cominciano ad essere disseminati e distribuiti nelle varie parti prima nella Toscana e poi nell’Europa. Abbiamo le serie storiche di dati, abbiamo questa incidenza della scienza moderna, degli strumenti fisici e dell’uomo industriale in due secoli che sono tuttavia un battito di ciglia rispetto ai tempi della climatologia storica ed ancor più dei grandi cicli della paleoclimatologia. Quindi è veramente un compito difficile distinguere l’ effetto antropico, che c’è sicuramente, da un ciclo naturale che dimostriamo con la paleoclimatologia e che è sempre esistito. Questa è l’essenza del problema. Allora bisogna stabilire il discorso corretto fra scienza e politica, perché questo rapporto è, oggi, a mio parere cruciale. Bisogna premettere che l’IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change) non rappresenta il luogo di crescita della scienza mondiale sul clima. L’IPCC nasce alla fine degli anni ’70 con l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che pensa ci possa essere riscaldamento globale e costituisce un canale di scambio di opinione tra la politica internazionale, le Nazioni Unite e la scienza. Però questa opportunità di scambio è interpretata come il momento stesso in cui si fa la scienza del clima. E siccome il riscaldamento globale è dato per scontato, è il momento secondo tanti di passare la mano agli esperti di adattamento e di contenimento (“adaptation” and “remediation”). Non è così. La scienza procede coi suoi metodi ben collaudati, ci sono le conferenze scientifiche e le associazioni scientifiche, le riviste scientifiche internazionali con revisori. Questa è la procedura vera per tutti gli scienziati ed i centri scientifici che hanno il loro percorso corretto, e poi naturalmente ci sono le occasioni come il Summit di Copenhagen in cui si cerca di fare il punto per dare alla politica internazionale delle indicazioni. Questo percorso ha preso la mano, per cui si è venuta a creare questa grande cascata di attenzione verso il riscaldamento globale riconosciuto in anticipo come catastrofico. Per arrivare nella conoscenza del clima alla situazione quale quella in cui siamo adesso per la meteorologia, occorreranno ancora almeno quarant’anni. La previsione climatologica è una meta che non è all'orizzonte. Nel frattempo imposterei la convergenza internazionale sul rispetto dell’ambiente planetario, il cui degrado è misurabile, non controverso e sotto gli occhi di tutti. Un consenso unanime che non veda paesi sviluppati, paesi emergenti e paesi sottosviluppati su posizioni contrapposte e conflittuali, ma li trovi tutti uniti nel proposito di salvaguardia dell’ambiente planetario.
Franco Prodi – Università di Bologna
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