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Francesco Saverio Abate - Necessaria più attenzione al Mediterraneo

Il prossimo giugno entreranno in vigore a pieno regime le nuove misure tecniche per la Pesca nel Mediterraneo volute dall'Unione Europea.

Tali misure tecniche sono state più volte annunciate e sinora rinviate (la proposta iniziale risale al 2001) anche grazie alla netta opposizione di tutte le associazioni di categoria dei Paesi comunitari interessati ed al pressing esercitato sui rispettivi Governi: ricordiamo la minoranza di blocco dei Ministri della pesca comunitari, sapientemente condotta dall’Italia che nel 2005 impedì l’approvazione di un testo assai più penalizzante dell’attuale; ma ancora il 29 marzo scorso l’Italia ha chiesto una proroga nell’entrata in vigore, riscuotendo l’appoggio degli altri governi dei Paesi membri del Mediterraneo, ma l’opposizione del Commissario Europeo Damanaki. Le nuove misure  consistono in un pacchetto di regole riformulanti minuziosamente l’attività di pesca (ampliamento delle maglie, distanza dalla costa, ove poter operare, composizione delle attrezzature e dei calamenti, taglie minime che non tengono in nessun conto la realtà biologica delle specie ittiche del Mediterraneo), e potrebbero, se non corrette, comportare il rischio di deprimere i ricavi delle imprese ed i salari degli occupati senza offrire alcuna certezza neanche di salvaguardia delle risorse ittiche.

Si tratta di limitazioni che valgono solo per la flotta comunitaria operante nel bacino Mediterraneo quando lo sforzo di pesca viene esercitato, in maniera cospicua, nelle stesse zone e sui medesimi stock ittici, dalle flotte da pesca dei Paesi terzi rivieraschi del Mediterraneo ed anche dai pescherecci battenti bandiere di Paesi estranei al Mediterraneo: buon senso vorrebbe che nella medesima area si applicassero simultaneamente regole comuni da parte di tutte le flotte pescherecce, evitando fughe in avanti che possono danneggiare unilateralmente le flotte comunitarie, Italia in testa, senza garantire nemmeno la conservazione degli stock ittici e dell’ambiente marino in generale. E’ allora necessario che l’Europa si assuma le proprie responsabilità e nell’impossibilità di ulteriori proroghe o deroghe, adotti congrue misure di compensazione varando un piano di sostegno finanziario per imprese e lavoratori del naviglio operante con reti da traino, quello maggiormente colpito dalle nuove misure: un segmento che da solo rappresenta il 60% della flotta nazionale in termini di stazza (95.499 TSL), impiega direttamente circa 10.000 addetti, per un volume di affari di circa 600 milioni di euro, pari a quasi il 40% dell’intero fatturato ittico. Il bacino del Mediterraneo, e la pesca italiana al suo interno, hanno senza dubbio una specificità che dev’essere rispettata e salvaguardata: l’obiettivo non può quindi che essere quello di conciliare i grandi orientamenti a livello europeo con la peculiarità dei metodi di pesca locali.

Anche per questo le recenti decisioni della Commissione europea sono state duramente criticate dalla categoria professionale e dagli stati membri che si affacciano sul Mediterraneo, proprio perché l’impressione è che si tenda ad applicare alla nostra pesca criteri concepiti per altre zone come il Mare del Nord e pertanto inadeguati, e a volte addirittura inattuabili. Anche il Parlamento Europeo e il Comitato Economico e sociale europeo a suo tempo hanno rigettato la proposta di regolamento sul Mediterraneo elaborata dalla Commissione Europea: adesso l’auspicio è che si possa riaprire il confronto su di un approccio condiviso dal settore e basandosi su dati scientifici affidabili.

Ma la qualità delle acque va anche salvaguardata e migliorata perché l’inquinamento è certo concausa della diminuzione degli stock ittici. Il problema è essenziale: il mare, grazie alla pesca e all'acquacoltura marina, fornisce il 40% delle proteine consumate nell'Unione Europea. Il mantenimento del suo equilibrio ecologico, quindi, è vitale per l’approvvigionamento alimentare del’Unione. Inoltre, il mare è il contesto in cui si svolgono la vita e il lavoro di 70 milioni di cittadini europei, compresi quelli che direttamente o indirettamente vivono della pesca, del turismo balneare e delle attività portuali. Ci sono anche – naturalmente - gli adempimenti nazionali poiché molto si può anche fare migliorando la qualità delle acque e dell’habitat marino. E’ questo il tema dell’inquinamento marino che può assumere diverse forme: eutrofizzazione, scarichi accidentali di petrolio, scarichi di idrocarburi in mare, fattori biologici, rifiuti solidi.

La salute dell’ambiente marino è una priorità del Sesto programma quadro dell’Unione Europea. La preservazione dell’ambiente marino è dunque oggetto di una strategia attualmente in corso di elaborazione, che prevede non solo nuove regolamentazioni, ma anche un’applicazione più rigorosa di quelle esistenti.

 

 

Francesco Saverio Abate: Direttore Generale per la Pesca marittima e l'Acquacoltura – Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.