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Francesco Saverio Abate - Contributo

La questione della pesca nel Mediterraneo assume un ruolo di primaria importanza nelle politiche di coesione e partenariato regionale. La pesca, infatti, ha una grande rilevanza sul piano sociale, economico e delle politiche alimentari.

            Ogni Paese che si affaccia su questo mare vanta una propria tradizione ed assegna rilevanza a questa attività come opportunità economica, occupazionale ed alimentare.

            In questa area convivono culture e politiche tanto differenti, il tutto comunque in un contesto in cui la pesca può rappresentare uno strumento di corretto e costruttivo dibattito tra i Paesi e non causa di permanente conflittualità.

            La pesca nel Mediterraneo è soprattutto un’attività di tipo artigianale, a forte intensità di manodopera, profondamente diversa da quella praticata in altre aree quali quelle nord europee caratterizzate da una produttività media molto più elevata, anche in relazione alle caratteristiche degli ecosistemi.

            Un indicatore delle differenze esistenti fra le due aree è dato dalla dimensione della stazza media delle imbarcazioni da pesca della flotta comunitaria che nel Mediterraneo risulta pari a 10 tonnellate, mentre nel resto d’Europa raggiunge le 31 tonnellate.

            Nonostante la pesca artigianale rappresenti il tessuto prevalente della pesca nel Mediterraneo, oggi è il comparto più debole nei tavoli negoziali, considerata la scarsa rilevanza che assume in termini di catture complessive, Inoltre, negli ultimi anni, si è intensificato il conflitto tra pesca artigianali e altre attività economiche che insistono sulla fascia costiera le quali hanno un maggiore potere contrattuale sul piano economico e politico sebbene si siano sviluppate più recentemente (come il turismo, il trasporto marittimo, la pesca sportiva e l’acquacoltura). La presenza capillare di imbarcazioni della piccola pesca lungo tutta la fascia costiera mediterranea aumenta la fragilità del comparto in quanto le interazioni tra l’attività di pesca, gli insediamenti urbani, le aree di sviluppo industriale e i porti sono sempre più frequenti e conflittuali.

            L’importanza della pesca nel bacino del Mediterraneo ha convinto anche la Commissione Europea, grazie anche alla presenza di altri paesi del Sud Europa, a prestare attenzione al nostro mare e quindi a regolamentare le attività ittiche di tale area perché con norme che valgono sia per i paesi che affacciano sul Mediterraneo  sia per i paesi extraeuropei.

            Con il Regolamento Mediterraneo del 21 dicembre 2006 si è cercato di fissare nuove regole per la protezione e conservazione delle risorse marine del Mediterraneo sia delle specie protette come tartarughe marine, squali, cetacei, sia delle specie comuni di grandi pelagici come tonni, pesci spada, sia delle decine di specie tipicamente commerciali.

            Il Regolamento “mediterraneo”, così detto per sintesi, è stato oggetto di ampi dibattiti e discussioni tra Stati membri e la Commissione europea che lo ha redatto, e solo dopo più di tre anni è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri come compromesso tra le diverse istanze del mondo delle pesca, dell’ambiente e del settore commerciale.

            Le necessità ambientali si sono tradotte nel raggiungimento di una maggiore selettività degli strumenti e degli attrezzi di pesca, con una totale revisione della dimensione e della forma delle reti e della maglia.

            Il regolamento mediterraneo è senz'altro migliorabile. Ciò che è importante è che si continui su questo processo di integrazione della pesca tra i Paesi del Mediterraneo con lo scopo di aiutare i paesi meno sviluppati, alzare la redditività delle imbarcazioni salvaguardando,nel contempo le risorse, per assicurare un futuro migliore alle successive generazioni.

 

Dott. Francesco Saverio Abate – Direttore Generale Pesca e Acquacoltura