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Daniela Addis - Relazione Tecnico Giuridica - XXIV Rassegna del Mare - 2 -5 ottobre 2013

Introduzione

Con Decreto Legislativo 3 marzo 2011, n. 28, l’Italia recepisce e da attuazione alla Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, con cui definisce gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia.

Inoltre, con la nuova Direttiva 2012/27/UE del 25 ottobre 2012 sull'efficienza energetica, entrata in vigore il 4 dicembre 2012, si stabilisce un quadro comune di mi­sure per la promozione dell'efficienza energetica nell'Unione, al fine di garantire il conseguimento dell'obiettivo principale del­l'Unione relativo all'efficienza energetica del 20 % entro il 2020 e di gettare le basi per ulteriori miglioramenti dell'efficienza energetica al di là di tale data.

Come specificato negli stessi Recitals della Direttiva, le conclusioni del Consiglio europeo del 17 giugno 2010 hanno confermato che l'obiettivo di efficienza energetica rientra fra gli obiettivi prioritari della nuova strategia dell'Unione per una crescita intelligente, sosteni­bile ed inclusiva («strategia Europa 2020»). Nell'ambito di questo processo, e al fine di attuare tale obiettivo a livello nazionale, gli Stati membri sono quindi tenuti a fissare obiettivi nazionali, di concerto con la Commissione, e a indicare nei rispettivi programmi nazionali di riforma come in­tendano conseguirli.

In tale ambito, l’Associazione Ecologica Scientifica di Protezione Ambientale “Mareamico” si è fatta promotrice di un progetto avente l’obiettivo di individuare nuove forme di energia alternative, quali lo sfruttamento delle correnti di marea.

A tale riguardo, lo Stretto di Messina offre situazioni uniche per l’individuazione e la sperimentazione di un prototipo di generatore di corrente elettrica da installare nello Stretto, che possa creare e rendere fruibile energia rinnovabile in un quadro di sostenibilità ambientale.

In siffatta prospettiva, si propone uno studio che intende contribuire ad individuare idonee soluzioni per affrontare gli aspetti energetici legati all’ambiente marino valutando, dal punto di vista scientifico, l’opportunità di sfruttare l’energia delle correnti di marea per produrre energia pulita, mediante l’individuazione di generatori sottomarini di moderna tecnologia. Pertanto, sono stati approfonditi anche una serie di aspetti collaterali, come gli impatti sugli ecosistemi, sulle biodiversità marine e le ripercussioni sulle attività collegate al mare, quali il traffico marittimo (sia nazionale, sia internazionale), la pesca e l’acquacoltura.

Il presente approfondimento ha lo scopo di delineare il quadro giuridico nel quale si andrebbe ad ascrivere il proposto progetto per la produzione di energia elettrica dalle correnti marine, situato in uno stretto internazionale interessato da un consistente  traffico marittimo e con innegabili elementi di valenza e vulnerabilità ambientale.

  1. Inquadramento geografico

Al centro del bacino del Mediterraneo, lo Stretto di Messina, chiamato nell'antichità Stretto di Scilla e Cariddi, Stretto di Scilla e Fretum Siculum, in epoca tardo-medievale e modernaFaro di Messina, è un braccio di mare tra la Sicilia (Capo Peloro) e la Calabria (Torre Cavallo), che mette in comunicazione il Mar Tirreno con il Mar Ionio. Ha una larghezza di circa 3,2 km (a nord), i cui opposti versanti hanno pendenze differenti (nel Mar Tirreno degrada lentamente, mentre nel Mare Ionio il pendio è molto ripido), con una batimetrica compresa tra gli 80-120 metri (nella congiungente Ganzirri-Punta Pezzo, che forma una sorta di "sella" sottomarina) e profondità superiori ai 500 m fino a degradare in un ripido canyon sottomarino (Canyon di Messina) che si protende fino alla piana batiale dello Ionio.

Lo stretto di Messina rappresenta, inoltre, un'area di importante rilievo paesaggistico e ambientale, data la varietà degli habitat naturali e delle specie della flora e della fauna ivi presenti.

  1. Problematiche relative all’impatto sull’ambiente marino

Per quanto riguarda i possibili effetti dell’installazione (intensiva)di impianti di generazione dalle correnti di marea, sono da tenere in considerazione:

  1. eventuali interferenze con la navigazione (per le parti emerse dei sistemi o per la necessità di orientarsi al variare della direzione della corrente occupando aree operative più ampie);
  2. l’impatto visivo (alcuni sistemi sono sommersi, altri sistemi presentano parti emerse);
  3. le emissioni acustiche, che potrebbero produrre effetti negativi sulla fauna marina;
  4. le emissioni elettromagnetiche, con possibili effetti sulla biosfera marina ed eventuali rischi ambientali.

 

Lo Stretto di Messina, oltre ad essere caratterizzato da forti correnti di marea che rendono più difficile la navigazione, è interessato da un intenso traffico marittimo locale (navigazione trasversale nello stretto) ad opera delle navi traghetto delle Ferrovie dello Stato e delle Società di navigazione private; dal transito di navi mercantili battenti bandiera sia nazionale sia di Paesi terzi (navigazione longitudinale)[1];nonché e non da ultimo, dalla presenza di numerose barche da pesca.

E’ importante evidenziare che le recenti politiche adottate relativamente agli spazi marittimi e costieri rappresentano tali aree quali fonti insostituibili di alimentazione, energia, materie prime e fruizione antropica. L’ambiente marino e costiero è così considerato vieppiù quale spazio fisico che da stimolo all’innovazione tecnologica e produce nuove opportunità di sviluppo. Tuttavia, è di fondamentale importanza che tali attività siano rese compatibili con la tutela dell’ambiente marino.

2.1 VTS (Vessel Traffic Services) dello Stretto di Messina

Le attività marittime nello Stretto di Messina sono opportunamente regolamentate, anche attraverso la previsione di restrizioni alla navigazione e alla occupazione delle aree interessate ad operazioni navali. In tale contesto, sono stati adottati Schemi di Separazione del Traffico marittimo (TSS), con la definizione di un corridoio destinato alla navigazione, corredato da opportune aree di manovra e di protezione di zone sensibili, come gli accessi ai porti e il divieto di ancoraggio in specifiche aree. In particolare, lo Stretto è diviso in due corsie di percorrenza, all’interno delle quali vi è un’area interdetta, riservata alla navigazione di una certa tipologia di navi (“grandi navi”). Sono state previste, inoltre, zone di manovra e zone di precauzione nelle vicinanze dei porti di Messina e Villa S. Giovanni.

Nello Stretto di Messina è stato quindi istituito un’area VTS (Vessel Traffic Services). Nell’area VTS di Messina, relativamente al transito nello Stretto con direttrice N-S e viceversa, E-O e viceversa, la navigazione è regolata dallo Schema di separazione del traffico di tipo “Rotatorio” istituito con D.M. 23 giugno 2008, n.128, reso noto dall’IMO con SN.1/Circ.279 in data 12.06.2009.

I porti ed approdi che ricadono nell’area VTS sono: il Porto di Messina, il Porto di Reggio Calabria, il Porto di Villa San Giovanni, l’Approdo San Francesco e l’Approdo Tremestieri.

 

I limiti operativi dell’area di competenza del VTS dello Stretto di Messina sono (linea rossa):

 

Limite Nord: delimitato da due linee che hanno origine nel punto di coordinate Lat. 38°22’.3 N – Long. 015°31’ E e dirette ad Est (costa Calabra) ed a Sud (costa Sicula).

Limite Sud: Parallelo 38°01’ N, congiungente punta Pellaro (costa calabra) e Capo Alì (costa sicula).

Area precauzionale/di primo contatto VTS: dal limite Nord e dal limite Sud dell’area VTS si estendono, per una distanza di tre miglia nautiche, due “aree precauzionali” (linea verde) all’interno delle quali è stabilito il primo contatto tra la nave ed il centro VTS.

 

Il predetto schema di separazione del traffico è composto da tre settori (NORD – CENTRO – SUD).

Il settore Nord è costituito da:

  1. una zona di precauzione N° 1 compresa in un’area semicircolare e connessa con i limiti nord dello schema di separazione del traffico;
  2. una zona di separazione tra le corsie di traffico ampia 300 metri;
  3. una corsia di navigazione per il traffico verso Nord, stabilita tra la zona di separazione e la zona di traffico costiero calabra (rotte indicative 065° - 020°);
  4. una corsia di navigazione per il traffico verso Sud, stabilita tra la zona di separazione e la zona di traffico costiero sicula (rotte indicative 200° - 245°).

Il settore centrale è costituito da:

  1. una zona di precauzione N° 2 (situata ad Ovest ) tra il settore Nord e Sud dello schema di separazione traffico, compresa tra la corsia di traffico e la costa siciliana;
  2. una Zp (zona di precauzione) N°3 (situata ad Est) tra il settore Nord e Sud dello schema di separazione del traffico, compresa tra la corsia di traffico e la costa calabra;
  3. una rotatoria – roundabout – centrata nel punto di coordinate Lat. 38° 12,680’ N - Long. 015° 36,400’ E di raggio 250 metri ( ∅ 500 metri).

Il settore Sud è costituito da:

  1. una zona di separazione tra le corsie di traffico ampia 300 metri;
  2. una corsia di navigazione per il traffico diretto verso Nord, stabilita tra la zona di separazione e la zona di traffico costiero calabra (rotte indicative 005°);
  3. una corsia di navigazione per il traffico diretto verso Sud, stabilita tra la zona di separazione e la zona di traffico costiero sicula (rotte indicative 190°);
  4. una zona di precauzione N° 4 posizionata a Sud della parte meridionale dello schema di separazione del traffico compresa tra le coste opposte della Sicilia e della Calabria, delimitata dai paralleli, 38°08’,94 0 N e 38° 06’,940 N.

 

Inoltre, le zone di traffico costiero, denominate “A B C D”, comprese tra la costa ed i limiti esterni delle corsie di traffico, sono impiegate allo scopo di indirizzare, nelle stesse, il traffico locale (compreso quello da diporto, da pesca, propulsione meccanica, a vela e/o a remi – di lunghezza inferiore a 20 metri).

Si tenga conto che in tali aree non è possibile ottenere concessioni per l’installazione di impianti per lo sfruttamento energetico delle correnti.

 

 

2.1.1 Unità con merci pericolose a bordo

Nello Stretto di Messina, ai sensi dei Decreti Ministeriali 29/03/1985 e 08/05/1985, non possono transitare navi adibite al trasporto di sostanze nocive all'ambiente marino, tra cui i prodotti petroliferi, di stazza lorda uguale o superiore alle 50.000 t, se con tali carichi a bordo.

Le navi adibite al trasporto di sostanze nocive all'ambiente marino e di prodotti petroliferi di stazza lorda uguale o superiore alle 6.000 t ma inferiori alle 50.000 t, che intendono transitare nello Stretto di Messina, sono soggette all'obbligo del pilotaggio.

2.1.2 Unità di grosso tonnellaggio

Per l’attraversamento dello Stretto di Messina vengono considerate unità di grosso tonnellaggio tutte le navi superiori a 15.000 GT, per le quali è imposto il pilotaggio obbligatorio a prescindere dal carico trasportato.

2.2 Attività di pesca

Lo Stretto di Messina è sede di un’intensa attività di pesca a carattere locale che viene espletata con modalità diverse in relazione ai vari periodi dell’anno. In particolare, si segnalano le seguenti.

La pesca al Pesce Spada (Xiphias Gladius) si effettua nel periodo compreso tra il mese di maggio e il mese di agosto di ogni anno, utilizzando particolari imbarcazioni denominate “passerelle o Feluche”, dotate di una lunga passerella che fuoriesce dalla prora e di un alto albero centrale (antenna), alla cui sommità si trova allocato il timoniere. La cattura del pesce spada avviene mediante arpionatura.

Le predette imbarcazioni effettuano la pesca muovendosi in aree predefinite, all’interno delle quali le unità da pesca sono libere di muoversi per l’inseguimento e la cattura del pesce. Pertanto, tali imbarcazioni, durante la fase di inseguimento per la cattura del pesce spada, possono, temporaneamente, utilizzare le corsie di traffico adiacenti la propria posizione, assicurando comunque la precedenza alle navi in transito, sia longitudinale sia trasversale.

La pesca al Sauro (Scomber Scombrus) sieffettua nell’area dello Stretto in quasi tutti i periodi dell’anno da numerose imbarcazioni che operano in gruppi, le cui manovre potrebbero interferire con la navigazione.

La pesca al Pauro/Dentice (Pagrus Pagrus/Dentex)si svolge, normalmente, nei mesi estivi nella zona antistante “Capo Peloro” in direzione E-NE a circa 0.5 NM dalla costa siciliana. E’effettuata da piccole imbarcazioni che operano in gruppo,le cui manovre potrebbero interferire con il traffico in ingresso nello Stretto di Messina, direzione Nord-Sud.

[Informazioni tratte dal “Manuale utente sul VTS dello Stretto di Messina” predisposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, ed. n. 6 del 23/04/2013].

  1. Quadro giuridico

3.1 La Convenzione di Montego Bay

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che non solo codifica il diritto del mare esistente ma anche lo sviluppo progressivo del diritto internazionale, influenzando in questo modo la pratica degli Stati[2], è stata firmata a Montego Bay (Jamaica) il 10 dicembre 1982, ed entrata in vigore il 16 novembre 1994. L’Italia, con legge 2 dicembre 1994 n. 689[3], ha autorizzato la ratifica e ha dato conseguentemente attuazione alla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare[4].

Essa contiene una profonda revisione del regime degli stretti internazionali, pur riaffermando il tradizionale principio della libertà di comunicazione e di movimento.

Per quanto riguarda il diritto del mare complessivamente considerato, le maggiori innovazioni introdotte dalla Convenzione del 1982 concernono:

(Parte II)  Il mare territoriale, con la fissazione in 12 miglia marine dell'ampiezza massima del suo limite esterno, nonché con una regolamentazione dettagliata dei requisiti del "passaggio inoffensivo" delle navi straniere.Il suo esercizio può essere oggetto di regolamentazione da parte dello Stato costiero, ma non in maniera tale da avere l'effetto pratico di negare od ostacolare il diritto di passaggio inoffensivo stesso.

(Parte III)  Gli stretti usati per la navigazione internazionale, con l'introduzione del nuovo regime del "passaggio in transito".

(Parte V)   La zona economica esclusiva[5], il nuovo istituto nato dalla tendenza, affermatasi in questi ultimi decenni, a voler disciplinare lo sfruttamento delle risorse biologiche delle acque poste oltre il mare territoriale. In tale zona, definita come "quella fascia di mare posta oltre il mare territoriale e ad esso adiacente, la quale si estende fino a 200 miglia marine, calcolate dalla linea di base del mare territoriale", lo Stato costiero gode dei diritti sovrani in materia di esplorazione, sfruttamento, conservazione delle risorse naturali, minerali e biologiche, esistenti nelle acque sovrastanti i fondi marini, nei fondi marini stessi e nel loro sottosuolo. Lo Stato costiero ha altresì competenza in materia di installazione e utilizzazione di isole e impianti artificiali, di ricerca scientifica marina e di protezione dell'ambiente marino contro l'inquinamento.

(Parte IX)L'introduzione della nozione di mare chiuso o semi-chiuso, con la previsione della cooperazione tra gli Stati rivieraschi in materia di pesca, di preservazione dell'ambiente, di ricerca scientifica (art.123).

(Parte XII) La protezione e la preservazione dell'ambiente marino, con la codificazione di una serie di principi generali del diritto dell'ambiente, nelle loro applicazioni all'ambiente marino. Tale parte XII funziona quale convenzione-quadro per tutte quelle convenzioni che si occupano di protezione dell'ambiente marino.

(Parte XV) La soluzione obbligatoria di un ampio gruppo di controversie da sottoporre, su richiesta di una Parte, ad un giudice o un arbitro. Gli Stati contraenti possono scegliere, con un'apposita dichiarazione, se sottoporre le loro controversie all'istituendo Tribunale Internazionale del diritto del mare, alla Corte Internazionale di Giustizia, ad arbitrato, o ad un tribunale arbitrale specializzato.

Per quanto riguarda gli stretti (artt.34-45), la Convenzione del 1982 riprende il regime del passaggio inoffensivo non sospendibile della Convenzione del 1958. Tale regime però ora costituisce non più la regola, bensì l'eccezione.

Nella Convenzione di Montego Bay vengono pertanto istituiti due diversi regimi, distinguendo tra diritto di passaggio in transito e diritto di passaggio inoffensivo.

Per gli stretti che congiungono una porzione di alto mare o di zona economica esclusiva con un'altra porzione di alto mare o di zona economica esclusiva (art.37), è previsto il nuovo istituto del passaggio in transito non impedito, inteso come libertà di navigazione e di sorvolo ai fini di un transito veloce e senza soste attraverso gli stretti (art.38).

Secondo quanto è previsto all'art. 36 della Convenzione, il regime degli stretti non si applica quando nello stretto vi sia un passaggio di alto mare, cioè nei casi in cui lo stretto sia più ampio della somma delle estensioni dei mari territoriali degli Stati costieri.

Continuerà ad applicarsi il passaggio inoffensivo non sospendile a quegli stretti che:

  1. a) si trovano tra una costa continentale e un'isola della stesso Stato e che consentono rotte alternative (ad esempio lo Stretto di Messina);
  2. b) congiungono una zona di alto mare o una zona economica esclusiva con una zona di mare territoriale.

Infine, in quegli stretti in cui il passaggio è regolato in tutto o in parte da accordi internazionali risalenti nel tempo, si applicherà la disciplina prevista dagli accordi stessi.

L'art. 19 della Convenzione cerca di definire quando il passaggio di una nave straniera debba essere considerato pregiudizievole alla pace, buon ordine e sicurezza dello Stato costiero, indicando una lista delle attività che rendono non inoffensivo il passaggio, tra le quali alla lettera (h) "....any act of wilful and serious pollution contrary to this convention".

Se ne evince che il carattere di non innocenza deve essere riferito al compimento da parte della nave straniera di determinate attività nel mare territoriale dello Stato costiero, e non alle semplici caratteristiche di una determinata categoria di navi o in ragione della pericolosità del carico trasportato (come ad esempio le petroliere, le navi nucleari o da guerra).

Lo Stato costiero gode comunque di un'ampia discrezionalità in questo campo, avuto riguardo sopratutto alle leggi e regolamenti relativi al passaggio inoffensivo che esso può emanare, non più limitati alla prevenzione della pesca, ma potendosi occupare di altri argomenti.

Lo Stato costiero ha, quindi, la possibilità – come visto - di adottare, ai fini della sicurezza della navigazione, percorsi obbligatori e schemi di separazione del traffico nello stretto (TSS),con la partecipazione dell'organizzazione internazionale competente, l'IMO (International Maritime Organization).

Si è già avuto modo di dire che lo Stretto di Messina costituisce uno stretto internazionale che separa la costa continentale della Calabria dall’isola della Sicilia e che consente rotte alternative, ai sensi della parte II, sezione 3della Convenzione di Montego Bay. Durante la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, l'Italia si è battuta, in linea generale, per tutelare la libertà di navigazione in alto mare, e in particolare, la libertà di passaggio negli stretti internazionali ed il semplice passaggio inoffensivo per gli stretti a carattere strettamente nazionale, che consentono rotte alternative, come lo Stretto di Messina (c.d. "eccezione di Messina").

Lo Stretto di Messina costituisce, quindi, uno stretto internazionale assoggettato al regime del passaggio inoffensivo non sospendibile, costituendo eccezione all'applicazione del regime del passaggio in transito. In questo caso, lo Stato costiero può adottare leggi e regolamenti sul passaggio ed imporre alle navi in questione oneri e cautele, senza però impedire il passaggio inoffensivo delle navi straniere, avendo l'effetto pratico di precludere o restringere l'esercizio del diritto stesso[6].

L’Italia, dunque, quale Stato costiero, nell’esercizio della propria sovranità nel proprio mare territoriale, può adottare leggi e regolamenti per prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento marino da parte di navi straniere, incluse le navi che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo. Tali leggi e regolamenti non debbono però tradursi in un ostacolo al passaggio inoffensivo delle navi straniere, ai sensi della parte II, sezione 3 dell’UNCLOS.

 

3.2 (Segue): diritti e obblighi degli Stati costieri e degli Stati terzi alla luce del diritto internazionale del mare.

Frutto di un ampio dibattito e di molti compromessi tra più Stati con differenti situazioni geografiche, interessi economici e ambientali, nonché militari, talune disposizioni della Convenzione di Montego Bay del 1982 sono suscettibili di diverse interpretazioni. Sarà la prassi degli Stati ad indicare nel prossimo futuro quali tra esse finiranno per prevalere.

Ai sensi della Convenzione di Montego Bay, lo Stato costiero deve garantire il diritto di passaggio innocente alle navi e agli aeromobili stranieri, fintantoché questo sia innocente. E' la stessa Convenzione che, all'art. 19, par.1, riprende la definizione di innocenza del passaggio contenuta nella Convenzione di Ginevra sul mare territoriale e la zona contigua del 1958. A differenza di quest'ultima, però, all'art.19, par.2, viene stabilito che il passaggio di una nave o aeromobile straniero venga considerato pregiudizievole alla pace, al buon ordine e alla sicurezza se compie nel mare territoriale alcune attività di seguito elencate, tra cui le attività di pesca non consentite, ovvero le attività che si risolvono nella non osservanza delle leggi doganali, fiscali, sanitarie e di immigrazione.

In materia di inquinamento, si precisa che soltanto la realizzazione, da parte delle navi in passaggio, di un inquinamento serio e volontario rende non inoffensivo il passaggio stesso.

Il diritto di passaggio inoffensivo, quindi,non può essere di regola sospeso o limitato, salvo in casi eccezionali.

In questo caso, il passaggio indica la navigazione nello stretto al fine di attraversarlo, di entrarvi e di uscirne; esso deve essere continuo e rapido, pur non essendo esclusa la sosta e l'ancoraggio, purché connesse alla navigazione o rese necessarie per forza maggiore o pericolo. Lo Stato costiero, d'altra parte, gode di ampi poteri riguardo alla regolamentazione del passaggio. Questi comprendono: la possibilità di emanare leggi e regolamenti in materia di sicurezza della navigazione e di regolamentazione del traffico marittimo, con l'adozione di vie di circolazione e di schemi di separazione del traffico; di prevenzione, riduzione e controllo dell'inquinamento[7]; nonché su ogni altra materia rientrante nella competenza sovrana.

Nell'ambito di tali poteri, lo Stato costiero può adottare tutte le misure necessarie per impedire che il passaggio non sia inoffensivo, salvo, come si è visto, l'interruzione o sospensione del passaggio stesso. Tra queste, alcune misure precauzionali eccezionali sono espressamente previste agli articoli 21, 22 e 23 della Convenzione del 1982, in riferimento alle navi a propulsione atomica e alle navi che trasportano armi o materiali nucleari. Nell'emanare le suddette leggi e regolamenti, lo Stato costiero deve garantire un uguale trattamento per tutti gli Stati destinatari delle norme stesse, ed impedire qualsiasi effetto pratico di discriminazione. E' inoltre richiesta la pubblicità di ogni legge e regolamento emanato in materia; dei percorsi obbligatori e degli schemi di separazione del traffico eventualmente designati; di ogni eventuale pericolo per la navigazione nelle proprie acque territoriali di cui si abbia conoscenza.

E' agli articoli 41 e 42, par. 1 che viene precisato che possono essere stabilite delle vie di circolazione e degli schemi di separazione del traffico nel passaggio in transito negli stretti internazionali, previa l'approvazione delle competenti organizzazioni internazionali (attualmente l'IMO)[8]. Anche le misure anti-inquinamento devono essere prese in conformità agli standard e in esecuzione delle norme internazionali. Abbiamo visto come la Stato costiero non possa in ogni caso impedire o intralciare né il passaggio in transito, né il passaggio inoffensivo delle navi straniere di qualsiasi tipo. In quest'ultima ipotesi, lo Stato costiero può adottare le misure necessarie per impedire che il passaggio non sia innocente. Secondo alcuni autori, l'art.233 della Convenzione del 1982 permetterebbe, nel caso in cui una nave mercantile straniera abbia causato o minacci di causare un grave danno all'ambiente marino dello stretto, di impedire il passaggio, senza che ciò integri violazione del divieto di sospensione.

Per quanto riguarda gli obblighi che gli Stati costieri hanno relativamente alla protezione dell'ambiente marino e alla lotta contro l'inquinamento[9], la regola generale prevede un obbligo degli stessi alla protezione e alla preservazione dell'ambiente marino, con l'adozione, separata o congiunta, di tutte quelle misure che siano necessarie per prevenire, ridurre e controllare l'inquinamento dell'ambiente marino nelle zone sottoposte alla loro sovranità o giurisdizione[10]. Leggi e regolamenti che però non devono, in conformità alla terza sezione della Parte III, impedire il passaggio innocente delle navi straniere.

Come ha giustamente rilevato Oda[11], la sempre più crescente visibilità dell'inquinamento marino ha finito per mettere in dubbio la sopravvivenza della dottrina del passaggio innocente[12].

Con l'emergere nel diritto internazionale generale di un divieto di inquinamento transfrontaliero, in realtà si delinea il preciso obbligo di proteggere l'ambiente marino, che riguarda qualsiasi spazio marino, e quindi non solo le zone sottoposte alla propria giurisdizione e controllo, ma anche l'alto mare.

 

3.3L'attuazione in Italia dell’UNCLOS.

Per quanto riguarda l’attuazione in Italia della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e, in particolare, il passaggio inoffensivo, bisogna fare riferimento ad una serie di disposizioni italiane che lo disciplinano.

Innanzitutto, vi è l'art. 83 del Codice della Navigazione (come modificato dall'art. 5, comma 2 della legge 7 marzo 2001, n. 51) il quale stabilisce che il Ministro dei Trasporti può limitare o vietare, per motivi di ordine pubblico, il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e dela Tutela del Territorio e del Mare, per motivi di protezione dell'ambiente, determinando le zone alle quali il divieto si estende.

In secondo luogo, abbiamo la legge 16 giugno 1912, n. 612[13], che prevede il divieto, in qualsiasi tempo e in qualsiasi località, del transito e del soggiorno di tali navi, quando ciò sia dovuto a interessi di difesa nazionale.

Per quanto riguarda, poi, più specificatamente il passaggio negli stretti internazionali, l'Italia ha adottato alcuni decreti da segnalare.

Ricordiamo, tra tutti, i due decreti che l’allora Ministro della marina mercantile ha adottato sulla navigazione nello Stretto di Messina, a seguito dell'incidente nello stesso delle petroliere Patmos e Castillo de Monte Aragon[14]: il decreto 27 marzo 1985[15], con il quale si interdiceva per un periodo di quarantacinque giorni la navigazione nello Stretto di Messina a tutte le navi di stazza lorda pari o superiore a 10.000 tonnellate, il cui carico consistesse in prodotti petroliferi o in materie nocive all'ambiente marino; il decreto 8 maggio 1985[16], il quale conferma il divieto a tempo indeterminato, imponendo a tutte le navi mercantili di comunicare, prima del transito, una serie di dati ad esse relativi e, al momento del transito, di procedere secondo una determinata rotta indicata nel decreto stesso e di osservare per tutta la durata del transito ben determinate prescrizioni operative.

A fronte delle proteste sollevate dalla comunità internazionale a seguito dell'adozione di questi decreti, il Governo italiano, com'è stato giustamente osservato da Leanza-Caracciolo[17], si appellò correttamente all'art. 233 della Convenzione del 1982, il quale, dopo aver precisato che le norme in materia di prevenzione dell'inquinamento non incidono sul regime previsto per gli stretti, stabilisce tuttavia che, se una nave che non gode della immunità ha commesso una violazione delle leggi e dei regolamenti dello Stato costiero[18], causando o minacciando danni importanti all'ambiente marino degli stretti, lo Stato costiero possa adottare le misure di polizia appropriate, tra le quali rientra anche la possibilità di impedire il passaggio, senza che tale misura costituisca negazione del divieto di sospensione previsto dal secondo comma dell'art. 45 della Convenzione stessa.

Le disposizioni della Parte XII della Convenzione di Montego Bay del 1982 intendono, dunque, costituire la normativa-quadro in cui vanno ad inserirsi le normative specifiche contenute nelle apposite convenzioni, settoriali o regionali, che andranno a sviluppare delle disposizioni internazionali più precise e dettagliate. E' del resto espressamente stabilito (art.197) l'obbligo che gli Stati Parte hanno di partecipare, sia a livello universale che a livello regionale, alla formulazione di regole e raccomandazioni internazionali in materia di preservazione dell'ambiente marino, tenuto conto delle caratteristiche regionali.

L’art. 123 UNCLOS prevede la cooperazione tra gli Stati rivieraschi di un bacino chiuso o semi-chiuso, come ad esempio il Mare Mediterraneo.

Qui di seguito si rivolgerà una particolare attenzione al c.d. sistema regionale per la protezione del Mediterraneo contro l'inquinamento, in cui vengono ripresi i due principi generali del diritto internazionale dell'ambiente consistenti nell'obbligo di non inquinare, e nell'obbligo di cooperare ai fini della protezione dell'ambiente.

 

3.4Il sistema regionale per la protezione del Mediterraneo contro l'inquinamento.

Con l'istituzione di un sistema regionale di protezione dell'ambiente del Mediterraneo, si è venuta a creare una struttura complessa e abbastanza organica, operante su diversi livelli, a difesa di questo importante quanto fragile bacino[19].

Partendo dal presupposto che un mare semi-chiuso, qual è il Mare Mediterraneo, costituisce un bene unitario e indivisibile, sottoposto a gravi rischi di inquinamento, si imponeva necessariamente, per gli Stati del Mediterraneo, una cooperazione per la gestione in comune del bacino, al fine di proteggere e preservare l'ambiente marino in sé considerato, e non solo in funzione degli interessi economici degli Stati.

L'esigenza di una sua specifica protezione era emersa già dai primi anni 70, con la constatazione che per impedire un ulteriore degrado delle sue acque, gli Stati mediterranei avrebbero dovuto adottare un piano di azione congiunta, attraverso lo strumento della cooperazione.

A questo fine, un programma di cooperazione regionale è stato intrapreso dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) per la protezione ambientale del Mediterraneo: il Piano di Azione per il Mediterraneo (MAP), approvato nel contesto della conferenza intergovernativa tenutasi a Barcellona nel 1975, e che coinvolge quasi tutti gli Stati costieri mediterranei.

Nell'ambito del MAP, si colloca, quale componente giuridica, la Convenzione di Barcellona del 16 febbraio 1976 per la protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento[20], alla quale si collegano numerosi protocolli, convenzioni sub-regionali o locali[21].

Nella Convenzione di Barcellona, si trova un importante disposizione di carattere generale, utile per definire il quadro complessivo della protezione del Mediterraneo. Si tratta, esattamente, di quella disposizione in cui è contenuta una clausola di subordinazione della Convenzione di Barcellona, e quindi dell'intero sistema regionale mediterraneo, ai risultati della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (leggi Convenzione di Montego Bay del 1982), nonché alla evoluzione delle pretese giuridiche degli Stati, in modo particolare degli Stati costieri e degli Stati della bandiera.

In questo modo, il sistema di protezione, strutturato a diversi livelli, risulta completo.

Innanzitutto, la Convenzione di Montego Bay del 1982 si pone quale complesso giuridico di norme e principi a cui ci si dovrà riferire nell'interpretazione e applicazione di tutte le norme esistenti, nonché nella codificazione dei nuovi accordi.

In secondo luogo, la Convenzione di Barcellona costituisce l'accordo quadro per la protezione del Mediterraneo, con la previsione sia di una serie di disposizioni di per sé non prescrittive, che di una serie di pacta de contrahendo, in virtù dei quali le parti si impegnano a negoziare la stipulazione dei successivi accordi in materia di lotta contro i differenti tipi di inquinamento e per la protezione delle diverse zone del Mediterraneo. La Convenzione stessa ha un carattere globale, in quanto riguarda qualsiasi fenomeno inquinante delle acque marine, con la previsione di principi e obblighi a carico di tutti gli Stati Parte.

Seguono i Protocolli aggiuntivi, i quali assicurano l'applicazione concreta della Convenzione di Barcellona nei vari settori, con la specificazione di quei principi in essa enunciati e in riferimento ai diversi tipi di inquinamento. Com'è noto, due di questi Protocolli vennero adottati, congiuntamente alla Convenzione di Barcellona, nel 1976: quello sulla prevenzione dell'inquinamento dovuto ad operazioni di immersione di navi e aeromobili (Protocollo dumping); e quello sulla cooperazione per combattere, in situazioni di emergenza, l'inquinamento del Mare Mediterraneo causato da idrocarburi e altre sostanze nocive[22](ora nuovo Protocollo Emergency). In seguito ne furono adottati altri, tra cui il Protocollo sull'inquinamento marino di origine terrestre, adottato ad Atene il 17 maggio 1980[23]; il Protocollo sulla individuazione delle aree specialmente protette del Mediterraneo, firmato a Ginevra il 3 aprile 1982[24], sostituito dal nuovo Protocollo sulle aree specialmente protette e sulla diversità biologica nel Mediterraneo, aperto alla firma a Barcellona il 10 giugno 1995; il Protocollo sulla protezione dall’inquinamento derivante dall’esplorazione dello sfruttamento della piattaforma continentale sottomarino e del sottosuolo (Protocollo Offshore), adottato nel 1994 ed entrato in vigore il 24 marzo 2011; il Protocollo sulla movimentazione transfrontaliera di rifiuti pericolosi e loro smaltimento (Protocollo hazardous wastes); il Protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere nel Mediterraneo (Protocollo ICZM-Integrated Coastal Zone Management), adottato a Madrid il 21 gennaio 2008 ed entrato in vigore il 24 marzo 2011.

Nel 1995 sono stati adottati alcuni rilevanti emendamenti alla Convenzione di Barcellona e al Protocollo sul dumping, con i quali sono state recepite molte delle idee presenti nella Dichiarazione di Rio del 1992 su ambiente e sviluppo, quali il principio "chi inquina paga", il principio precauzionale, il concetto di gestione integrata della fascia costiera e degli obblighi in tema di informazione e partecipazione del pubblico.

 

Infine, quale ultimo livello di applicazione dell'azione concertata, bilateralmente o multi lateralmente, a difesa dell'ambiente marino del Mediterraneo, è prevista la facoltà che gli Stati Parte hanno di concludere degli accordi sub regionali, che hanno una sfera di applicazione geograficamente limitata e parziale.

Gli Stati Parte hanno, ad ogni livello, il dovere di cooperare con le competenti organizzazioni internazionali nella protezione dell'ambiente marino del Mediterraneo da ogni forma di inquinamento.

Per completare il quadro normativo sulla protezione del Mediterraneo bisogna, da ultimo, ricordare quelle regole che si collocano a livello sub-regionale, che sono state adottate dalla Comunità Europea sotto forma di direttive in materia di lotta contro l'inquinamento marino, nell'ambito della sua competenza in materia ambientale.

Un' importante direttiva, in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell'inquinamento marino, che trova la sua applicazione nel caso dello Stretto di Messina, è stata adottata dal Consiglio delle Comunità europee il 19 giugno 1995, la Direttiva 95/21 CEE, refusa con Direttiva 2009/16/CE del 23 aprile 2009 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo. Con essa si ha riguardo all'attuazione, per le navi che usano i porti comunitari e che conducono attività di pesca nelle acque rientranti sotto la giurisdizione degli Stati Membri, degli standard internazionali in materia di sicurezza della navigazione, prevenzione dell'inquinamento, vita di bordo e condizioni di lavoro[25]. Fintantoché l'applicazione e l'attuazione degli standard internazionali sulla sicurezza della navigazione e sulla protezione dall'inquinamento saranno inadeguatamente controllati dallo Stato della bandiera, questi verranno attuati dagli Stati Membri, che agiranno in qualità di Stati del porto.

Considerato che la competenza dell’Unione Europea in materia di protezione ambientale è andata continuamente ampliandosi[26], essa è stata ammessa come Parte contraente in tutti gli strumenti internazionali per la protezione del Mediterraneo[27], estendendo pertanto anche agli Stati membri non costieri del Mediterraneo gli stessi obblighi incombenti sugli Stati membri costieri del bacino. In questo modo, si vengono ad aggiungere le competenze dell’unione Europea a quelle concorrenti degli Stati membri.

E' importante ricordare, tra le azioni di promozione svolte dall’UE sul piano esterno, le diverse azioni promosse, a partire dall’adozione della Carta di Nicosia nel 1991, che si proponeva di risanare l'ambiente del Mediterraneo entro il 2025, coinvolgendo tutti gli Stati dell'area, secondo una comune strategia da seguire con impegni e scadenze precise.

Seguendo il medesimo ordine di idee, il 21 maggio 1992 il Consiglio delle Comunità Europee, con direttiva 92/43 CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche[28], ha adottato un provvedimento di grande interesse e rilevanza per la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente, conformemente, tra l'altro, ai dettati della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982.

Sappiamo, infatti, che la Convenzione sul diritto del mare del 1982 prevede, tra le misure dirette a prevenire, ridurre o controllare l'inquinamento dell'ambiente marino, l'istituzione di zone specialmente protette[29].

Con la direttiva 92/43 CEE, che ha lo scopo principale di promuovere il mantenimento della biodiversità, tenendo conto al tempo stesso delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali, si ribadisce la necessità di designare zone speciali di conservazione[30], su proposta degli Stati membri o, in casi eccezionali, della stessa Comunità. Viene così contemplata la costituzione di una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000[31].

Con zone speciali di conservazione si intende un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato.

Le specie definite di interesse comunitario sono quelle in pericolo, vulnerabili, rare, ovvero endemiche, e come tali bisognose di particolare attenzione, data la specificità del loro habitat e/o le incidenze potenziali del loro sfruttamento sul loro stato di conservazione.

L’Unione Europea si è, quindi, dotata di un sistema di conservazione della biodiversità di aree presenti nel territorio dell’Unione stessa ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della Direttiva “Habitat” e delle specie di cui all’allegato I della Direttiva “Uccelli”.

La Rete Natura 2000 è costituita dalle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) ovvero dai Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS).

 

Consultando il nuovo strumento in linea denominato «Mappa interattiva Natura 2000», la mappa interattiva sviluppata dalla Commissione europea, con l’assistenza dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), all’indirizzo http://natura2000.eea.europa.eu/#, si possono localizzare ed esplorare con un clic i siti Natura 2000 dell’UE. Il sito italiano è il seguente: http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/
menu/menu_attivita/&m=Rete_Natura_2000.html

 

Molti siti della Rete Natura 2000 sono stati individuati e istituiti anche in Sicilia, in particolare nell’area dello Stretto di Messina (come si evidenzia nellasotto riportata figura). Tra tutti, citiamo la ZPS ‘Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci, Antennamare e area marina dello stretto di Messina’ (ITA030042) che si estende per ha 27.993.

 

 

 

Fig 1: siti della Rete natura 2000 nella regione dello Stretto di Messina

 

3.5I trattati in materia ambientale sulla protezione della biodiversità e degli ecosistemi[32].

Il 2012 è stato un anno importante per la tutela degli oceani e per il riconoscimento dei connessi diritti. La Conferenza delle Nazioni Unite conosciuta con il nome di “Rio+20” ha strategicamente sottolineato l’importanza della conservazione e dell’uso sostenibile delle risorse marine per lo sviluppo e il progresso del genere umano. Anche l’ultima Conferenza delle Parti della Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica (CBD COP 11), tenutasi a a Hyderabad, India, nell’ottobre 2012, ha confermato l’impegno politico a livello mondiale per la protezione della biodiversità marina, costiera e insulare.

Nell'ambito del diritto internazionale dell'ambiente troviamo non pochi accordi con funzioni di salvaguardia ecologica, che prescindono dall'inquinamento. Si tratta di accordi in tema di tutela della vita animale, vegetale, dei luoghi e habitat naturali, delle risorse biologiche, nonchésulla protezione della diversità biologica o biodiversità (Convenzione di Rio, 1992).

Il sentimento di una comune protezione delle specie animali e vegetali e degli habitat, a livello internazionale, è emerso solo recentemente, con l’affermazione dell'esigenza di sviluppare principi ed obblighi a carico della comunità internazionale per la loro protezione e conservazione. Indicativo di tale tendenza è l'emergere di concetti quali "patrimonio comune" o "interesse comune" che individuano il comune interesse della comunità internazionale alla salvaguardia di certe aree o di certe specie. Allo stesso modo, le specie individuate ai fini della protezione non sono solo quelle utili all'uomo, ma quelle in pericolo in sé considerate.

Con la stipulazione dei primi accordi e trattati in materia, vengono focalizzati i principali problemi. Innanzitutto, la circostanza che le specie animali e vegetali, e le minacce nei loro confronti, oltrepassano le frontiere nazionali; quindi l'apprestamento di una protezione tale da abbracciare l'intero ambiente che funge da supporto per la catena alimentare delle specie in questione.

Chiaramente la soluzione di tali problemi non poteva prescindere da un'attiva cooperazione tra Stati, rafforzata dalle azioni intraprese in questo campo dalle agenzie ed organismi internazionali, quali l’Unione Europea e il Consiglio d'Europa, l'UNESCO, la FAO, l'Unione Internazionale per la tutela della natura e delle risorse naturali (IUCN), l'UNEP.

I principi e le strategie sviluppate nell’ambito del diritto internazionale dell'ambiente generalmente considerato, che si sono sviluppati a partire dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972 fino ad oggi, trovano la loro applicazione anche in materia di protezione degli ecosistemi, sia marino-costieri sia terrestri.

Con le raccomandazioni adottate dalla Commissione Mondiale sull'Ambiente e lo Sviluppo, completato dalla Prospettiva Globale sull'Ambiente fino al duemila ed oltre, viene stabilito che la preservazione degli ambienti naturali e delle specie animali e vegetali non può prescindere dalla conservazione delle singole specie che formano l'ecosistema, con ciò avendo di mira la realizzazione del principio di uno "sviluppo sostenibile", cioè della compatibilità tra sviluppo e progresso umano. E' nell'ambito della Convenzione di Rio del 1992 che si sottolinea, in particolar modo, l'importanza della biodiversità, ossia della diversità biologica, che consiste nella varietà della vita in tutte le sue forme.

Esiste una grande varietà di trattati che riprendono e sviluppano i summenzionati principi e strategie. Trattati che sono stati stipulati a livello globale, regionale o bilaterale, in riferimento a singole specie o gruppi di specie da proteggere (animali o vegetali) rare o minacciate d'estinzione, o all'istituzione di aree specialmente protette.

Solitamente, tra gli strumenti di carattere generale, vengono citate tre Convenzioni internazionali che meritano di essere citate nell’ambito dell’inquadramento giuridico e l’approfondimento tematico che qui ci riguarda.

Si tratta della Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, relativa alle zone umide di importanza internazionale; la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, adottata a Parigi il 23 novembre 1972, alla Conferenza generale dell'UNESCO, che prevede la compilazione di un elenco ufficiale dei luoghi considerati quali patrimonio culturale e naturale appartenente alla comunità mondiale; la Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica, firmata a Bonn il 23 giugno 1979, che prevede un quadro completo di cooperazione tra Stati per la ricerca scientifica, la ricostituzione degli habitat naturali, la rimozione degli ostacoli alla migrazione delle specie espressamente elencate, nonché per la conclusione di nuovi accordi in materia di conservazione.

Sicuramente l'istituzione di aree specialmente protette comporta molteplici problemi, specie se si riferiscono ad aree marine. Il regime dei vari spazi marini, infatti, non è unitario, per cui si possono rilevare problematiche relative ai diritti ed obblighi in capo agli Stati nelle rispettive aree marine; ovvero di ordine naturalistico, in quanto i diversi habitat ed ecosistemi non rispecchiano i confini artificiali posti dall'uomo.

Risulta di tutta evidenza come la presenza o la futura istituzione di queste particolari aree possa incidere sulle libertà generalmente riconosciute nelle zone marine, quali la pesca, la navigazione ma anche la posa di cavi e lo sfruttamento delle risorse marine. I conflitti possono insorgere, in particolare, nel momento in cui le regole sul passaggio innocente e i diritti stabiliti dall'IMO e da altre Convenzioni rilevanti in materia non vengano osservate.

Ad ogni modo,si rileva che nel Mediterraneo si è avuto un progressivo e costante aumento di aree protette marine variamente denominate (parchi marini, riserve marine, riserve naturali, aree di protezione biologica, ecc.), assoggettate a regimi particolari.

 

Per quanto riguarda la nostra area di studio, come si legge nel documento predisposto dal Ministero dell’ambiente “Tutela delle specie migratrici e dei processi migratori”[33], nell’ambito del progetto ‘Verso una Strategia Nazionale per la Biodiversità: i contributi della Conservazione Ecoregionale’, in Italia lo Stretto di Messina rappresenta un’area di particolare importanza per il superamento del Mediterraneo per le specie di migratori che si basano primariamente sul volo veleggiato e per i rapaci che migrano, quale il Falco pecchiaiolo (Pernisapivorus).

Nell’area di studio sono quindi presenti siti della rete Natura 2000 ZPS, siti per la protezione delle specie migratorie; non sono invece presenti altre tipologie di aree protette (l’area marina protetta del Plemmirio, nel comune di Siracusa, è ben più a sud), aree Ramsar o aree UNESCO.

 

3.6 Legislazione interna in tema di aree protette.

Per quanto riguarda il nostro ordinamento interno, la Costituzione contiene una sola indicazione esplicita in materia di conservazione della natura, all'art. 9, il quale pone la tutela del paesaggio tra i compiti fondamentali della Repubblica.

L'attuale testo dell’art. 117 Cost. riconosce allo Stato la legislazione esclusiva in materia di s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; mentre riconosce una competenza concorrente in materia di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, nonché di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.

Con il D.P.R. n. 616/77 sono state a suo tempo trasferite alle regioni, nell'ambito della materia urbanistica, attribuzioni inerenti la conservazione della natura, compresa l'istituzione di parchi e riserve naturali, nonché la tutela delle zone umide.

I dettati della Convenzione UNCLOS del 1982, relativi al riconoscimento degli interessi collettivi alla preservazione dell'ambiente marino,sonoinvece stati recepiti a pieno sia dalla legge 31 dicembre 1982, n.979 sulla difesa del mare[34], che detta, tra l'altro, disposizioni in ordine all'istituzione di riserve marine[35]; sia dalla legge 28 febbraio 1992, n.220 sugli interventi per la difesa del mare[36]. Di particolare importanza sopratutto la prima che, con la previsione di un piano generale di difesa del mare e delle coste dall'inquinamento e di tutela dell’ambiente marino, valido per tutto il territorio nazionale, appresta un concreto disegno di pronto intervento diretto a prevenire i pericoli di inquinamento e ad attenuare il più possibile le conseguenze dannose per gli ecosistemi marini.

In tale contesto, ricordiamo inoltre la legge quadro sulle aree protette del 6 dicembre 1991, n.394[37], che ha come finalità quella di garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale.

  1. Politiche di gestione dei territori

Nell’ambito del più ampio tema delle politiche, adottate ai diversi livelli, di gestione dei territori, una particolare menzione meritano sia la gestione integrata delle zone costiere(ICZM), sia la pianificazione spaziale marittima (MSP), entrambe parti della Politica Marittima Integrata (IMP) COM(2007) 575adottata dall’Unione europea.

Tali strumenti, attinenti alla gestione e pianificazione delle zone marino-costiere, incidono necessariamente anche sulle attività economiche ivi svolte, come quella che qui ci riguarda.

La gestione integrata delle zone costiere (ICZM),si pone, dunque,quale processo adattativo di gestione delle risorse ai fini di uno sviluppo sostenibile delle zone costiere, che ha come obiettivo quello di approntare un raccordo trasversale fra le varie politiche che hanno un’incidenza sulle regioni costiere e che si attua attraverso la pianificazione e la gestione delle risorse e dello spazio costieri. Pertanto, l’ICZM non è solo una politica ambientale, ma si prefigge anche di promuovere il benessere economico e sociale delle zone costiere.

In particolare, il già richiamato Protocollo ICZM della Convenzione di Barcellona, sottoscritto dall’Italia nel 2008 e in via di ratifica, riconosce la pianificazione e la gestione delle zone costiere quale strumento indispensabile per la conservazione e lo sviluppo sostenibile di tale riconosciuta risorsa ecologica, economica e sociale insostituibile, nell’ottica di un approccio integrato a livello dell’intero bacino Mediterraneo e dei suoi Stati costieri, tenuto conto della loro diversità ed in particolare delle specifiche necessità delle isole in relazione alle loro caratteristiche geomorfologiche. Il protocollo è stato, inoltre,‘ratificato’ dall’Unione europea con Council Decision 2010/631/EU e quindi parte dell’acquis communitaire.

La pianificazione dello spazio marittimo (PSM)è un processo pubblico di analisi e pianificazione della distribuzione spaziale e temporale delle attività umane nelle zone marine per conseguire obiettivi ambientali, economici e sociali. Il suo principale scopo è quello di mettere a punto piani che identifichino il modo più efficiente e sostenibile di utilizzare lo spazio marittimo e permettere usi diversi del mare. La concorrenza per lo spazio marittimo è molto forte e occorre tener conto degli interessi dei diversi soggetti coinvolti (ad esempio un parco eolico offshore può perturbare i trasporti marittimi o la pesca se la scelta del luogo non è stata ben programmata).

Nel marzo 2013 la Commissione ha proposto una Direttiva che ha l’obiettivo di creare un quadro comune per la pianificazione dello spazio marittimo e la gestione integrata delle zone costiere[38],per promuovere la crescita sostenibile delle attività marittime e costiere e l’uso sostenibile delle risorse costiere e marine attraverso la creazione di un quadro comune, basato su regole identiche per tutti gli Stati membri, che consenta di attuare efficacemente la pianificazione dello spazio marittimo nelle acque territoriali europee e la gestione integrata delle coste nelle zone costiere di ogni Stato membro.

I singoli paesi dell’UE saranno liberi di pianificare le proprie attività marittime. Tuttavia, la pianificazione a livello locale, regionale e nazionale nelle zone marittime condivise sarà resa più uniforme mediante una serie di requisiti minimi comuni. Tale approccio risulterà vantaggioso  economicamente poiché le risorse naturali rappresentano presupposto per attività che non possono prescindere dal mantenimento di condizioni ambientali favorevoli e di un adeguato livello di biodiversità. Un quadro normativo, quello che ne emerge, che rappresenta uno strumento innovativo destinato ad aprire una nuova fase per le politiche marittime europee.

Inoltre e sempre ai fini dell’individuazione delle attività economiche che possono essere intraprese nell’area dello Stretto di Messina, saranno da tenere in considerazione anche i seguenti strumenti politici e giuridici:

  • La Politica Marittima Integrata (IMP) COM(2007) 575, lanciata con il "Blue Book" nel 2007 (COM(2007) 574 final) con cui si è precisato che "actions will be guided by the principles of subsidiarity and competitiveness, the ecosystem approach, and stakeholder participation" e la correlata Politica Marittima Integrata nel Mediterraneo COM(2009) 466;
  • Il White paper sull’adattamento ai cambiamenti climatici COM (2009) 147;
  • L’IMP Programme Regulation 1255/2011, il cui art 2(2) (b) chiarisce che la MSP e l’ICZM costituiscono entrambe un importante strumento per lo sviluppo sostenibile delle aree marino-costiere, contribuendo alla gestione ecosistemica e allo sviluppo dei collegamenti terra-mare. Recentemente, inoltre, l’IMP Council conclusions ha richiamato la necessità di applicare l’approccio ecosistemico allo sviluppo delle attività della c.d.‘crescita blu’ (Blue Growth);
  • La comunicazione della Commissione europea sulla “Blue Growth Strategy[39], un’iniziativa di governance marittima tesa a valorizzare il potenziale inutilizzato degli oceani, dei mari e delle coste in termini di ricerca, sviluppo ed occupazione;
  • La Direttiva 2008/56/CE sulla Strategia Marina,adottata il 17 giugno 2008 con l’obiettivo di ottenere un adeguato livello di protezione, salvaguardia e valorizzazione delle acque marine, quale pilastro ambientale dell’IMP. Nell’istituire un quadro all’interno del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire o mantenere un buono stato ecologico dell’ambiente marino entro il 2020, prende in considerazione anche gli apporti antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nell’ambiente marino, affinchè non causino effetti inquinanti. Pertanto, l’introduzione di energia, comprese le fonti sonore sottomarine, deve essere tenuta a livelli che non hanno effetti negativi sull’ambiente marino.

 

  1. Blue Growth Strategy

Con l’espressione ‘Blue Growth Strategy’ - politica a lungo termine per lo sviluppo del settore marittimo -si indica l’apparato di iniziative che i governi nazionali sono chiamati ad adottare per garantire la tutela del patrimonio marino. Tale strategia, in particolare, è volta alla promozione di misure che consentano un’efficiente allocazione ed un impiego sostenibile delle risorse marine, l’individuazione di opportunità di crescita e sviluppo, così da dare impulso ad attività connesse all’economia blu, quali il turismo e la produzione di energia da fonti rinnovabili.In conformità agli adempimenti informativi come delineati all’interno della Direttiva Quadro sulla Strategia per l’Ambiente Marino, entro il 2014 ogni governo nazionale provvederà a definire le misure da adottarsi per monitorare lo stato delle proprie acquee e ad individuare gli eventuali ulteriori provvedimenti che si renderanno necessari.

La “Blue Growth Strategy”, inserendosi nell’ambito della politica marittima integrata (PMI) per l’Unione Europea, ha, tra l’altro, l’obiettivo di sviluppare nuove fonti di crescita, proteggendo l’ambiente marino e la biodiversità, attraverso un livello adeguato di investimenti e ricerche,con l’obiettivo di affrontare degrado dell’ambiente marino, la sicurezza marittima e la sostenibilità dell’approvvigionamento energetico.

La strategia si concentra sulle attività esistenti, quelle emergenti e quelle potenziali, tra le quali sono state individuate anche l’energia blu e la biotecnologia blu. Lo scopo prefissato è che gli Stati membri, nell’ambito dell’Unione europea, promuovano la ricerca e l’innovazione marina, per sbloccare il potenziale di crescita nell’economia blu tutelando la biodiversità e proteggendo gli ambienti. I settori tradizionali come il trasporto marittimo e costiero aumenteranno in competitività, mentre i settori emergenti, quali la biotecnologia blu, diventeranno strumenti per creare nuovi posti di lavoro, un’energia più pulita, più prodotti e servizi.

Si evidenzia, comunque, che quanto previsto a livello europeo e nazionale dovrà necessariamente porsi in regime di cooperazione con le altre iniziative sviluppate negli stessi settori a livello mondiale.

 

Infine, si rammenta che il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in occasione del Consiglio Ambiente del 18 giugno 2013, in merito alle misure da intraprendere per garantire un livello di crescita sostenibile per le acque marine nazionali, ha sottolineato che l’obiettivo finale di un “integrale approccio ecosistemico” potrà essere raggiunto solo impiegando un metodo interdisciplinare che veda il coinvolgimento delle iniziative adottate in tema di energia, trasporti e pesca. Ha inoltre evidenziato l’importanza del contributo che tecnologia e ricerca possono apportare in questo settore, in quanto strumenti idonei ad offrire soluzioni nuove, alternative e sicuramente di minor impatto ambientale.

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[1]Al riguardo, si può qui accennare brevemente alle navi che battono bandiera di uno Stato, le quali, ovunque esse si trovino, sono sottoposte alla giurisdizione e al controllo dello stesso. Il collegamento tra la nave e lo Stato, e che ne giustifica l'esercizio della giurisdizione sulla stessa, è dato dal conferimento della bandiera, ossia della nazionalità.

 

[2]Si veda al riguardo LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, Torino, 1993, p.21ss., il quale osserva che : "questa impostazione dell'opera di codificazione svoltasi nel corso della III Conferenza sul diritto del mare, ha influenzato enormemente anche l'evoluzione del diritto consuetudinario, poichè essendosi svolta la Conferenza su di un arco di tempo estremamente lungo, essa ha avuto tutto il tempo e la possibilità di influenzare i comportamenti posti in essere nella materia dagli Stati partecipanti alla Conferenza e, quindi, ha avuto tutto il tempo e tutta la capacità di influenzare anche l'evoluzione del diritto consuetudinario del mare".

[3]Il testo della legge di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione seguito dai testi della Convenzione e dell'Accordo di applicazione è in G.U., Suppl. ord. del 19 dicembre 1994, n.295.

[4]Della quale è parte anche la Francia.

[5]Si veda per uno studio più approfondito,B.KWIATKOWSKA, The 200 mile exclusive economic zone in the law of the sea, Dordrecht: Nijhoff, 1989.

[6]Cfr. art. 24, par. 1 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982.

[7]Cfr. art.21, par. 1, lett (a) e (f).

[8]Anche se gli atti emanati dall'IMO possono essere considerati alla stregua di semplici raccomandazioni, è pur vero che su di un piano concreto essi finiscono generalmente per essere rispettati, anche perchè la loro inosservanza potrebbe costituire, in caso di incidente marittimo, un'indice di negligenza da parte della nave e dunque contribuire a fondare la relativa responsabilità. Cfr. sul punto M.GESTRI, Il progetto di Parco Marino Internazionale delle Bocche di Bonifacio e la regolamentazione del traffico marittimo, in De GUTTRY-RONZITTI, I rapporti di vicinato tra Italia e Francia. Padova: Cedam, 1994, p. 120.

[9]Cfr. Parte XII della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982.

[10]Cfr. art.211, par. 2.

[11]Cfr. S.ODA.,The Law of the sea in our time- I: New Developments, 1966-1975. Sijthoff, Leyden 1977, p.177-178.

[12]E' del marzo 1973 il Progetto di articoli sulla navigazone nel mare territoriale, inclusi gli stretti usati per la navigazione internazionale, rimesso all'approvazione congiunta di Cipro, Grecia, Indonesia, Malesia, Marocco, Filippine, Spagna e Yemen. Con tale proposta si consigliava l'adozione di una nozione di nave dalle c.d. caratteristiche speciali, precisando che le navi così definite sarebbero state soggette alla più severa regolamentazione della Stato costiero. Si veda UN Doc. AIAC.138 ISC II /L.18.

[13]Cfr. G.U. del 27 giugno 1912, n. 151.

[14]Al riguardo si veda M.GESTRI, Libertà di navigazione e prevenzione dall'inquinamento: il caso dello Stretto di Messina, in RDI, 1986, p.280 ss.

[15]Intitolato Temporanea interdizione della navigazione nello Stretto di Messina a determinate navi, pubblicato in G.U. del 29 marzo 1985, n. 76.

[16]Intitolato Regolamentazione del traffico marittimo nello Stretto di Messina, pubblicato in G.U. dello 11 maggio 1985, n. 110.

[17]Cfr. LEANZA-CARACCIOLO, Le incidenze della Convenzione di Montego Bay del 1982 sulla legislazione italiana in tema di spazi marini, in La Comunità Internazionale. Vol. L 3-4 1995, p. 491.

[18]Di cui all'art. 42, par. 1(a) e (b), in tema di sicurezza della navigazione e di prevenzione e controllo dell'inquinamento nel dare effetto ai regolamenti internazionali sullo scarico di petrolio, residui petroliferi e sostanze nocive.

[19]Al riguardo M.DI LECCE, Il rapporto sullo stato dell'ambiente nel bacino del Mediterraneo, in: Rivista Giuridica dell'Ambiente, Milano: Giuffrè, 1995, p.935 ss.

[20]Cfr. 15 ILM (1976), 290. In dottrina, si vedano PANTANO, Le convenzioni internazionali per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento e protocolli annessi stipulati a Barcellona nel 1976. In Rivista Marittima 1979, n. 7, p. 135; SISTO, La Convenzione di Barcellona sulla protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento e i suoi protocolli. In Diritto Internazionale e protezione dell'ambiente marino (a cura di V. Starace). Milano, 1983, p. 283 ss.

[21]Ricordiamo inoltre che nel 1979 è stato formulato un piano di ricerca e pianificazione che opera attraverso un centro operativo, che ha sede in Francia, detto Piano Blu.

[22]I tre atti sono resi esecutivi in Italia con legge 25 gennaio 1979 n.30, G.U. n.40 del 9 febbraio 1979.

[23]In G.U. n. 89 del 15 aprile 1985.

[24]In G.U. n. 89 suppl. del 15 aprile 1985. Tale Atto, di natura vincolante, ha l'ambizioso obiettivo di creare una rete di aree protette nella regione del Mare Mediterraneo.

[25]Si veda al riguardo E.M.BERGGREN, New EC Directive on Port State Control, in: Review of European Community & International Environment Law. International Watercourses. Vol. 5, Issue 2, 1996, p. 181 ss.

[26]Tale sviluppo, com'è noto, ha subito un'ulteriore impulso dalle disposizioni dell'Atto Unico Europeo, sottoscritto a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 e all'Aja il 28 febbraio 1986, agli articoli 130R, 130S e 130T; nonchè dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 sull'Unione Europea.

[27]La Comunità europea è, tra l'altro, parte della Convenzione di Barcellona del 1976 (Decisione 77/585/CEE, in G.U. L240 del 19 settembre 1977), e dei relativi Protocolli settoriali, compresi quelli conclusi successivamente alla Convenzione.

[28]Cfr. cit. G.U. delle Comunità Europee n. L206 del 22 luglio 1992, p. 7.

[29]Cfr. l'art. 194, par. 5, secondo il quale "the measures taken in accordance with this Part [= Part XII: Protection and Presevation of the Marine Environment] shall include those necessary to protect and preserve rare or fragile ecosystems as well as the habitat of depleted, threatened or endagered species and others forms of marine life".

[30]Comprese quelle già classificate, o che saranno classificate, come zone di protezione speciale ai sensi della direttiva 79/409 CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, in: G.U. delle Comunità Europee n. L103 del 25 aprile 1979, p. 1.

[31]Si tenga presente l'art. 8 della Convenzione sulla diversità biologica (Rio de Janeiro, 5 maggio 1992), il quale, dopo aver definito il concetto di "uso sostenibile" degli elementi costitutivi della diversità biologica, prevede che le parti adottino varie misure per la conservazione delle specie in situ, tra cui quella di creare un sistema di aree protette o di aree che necessitano di particolari azioni da prendere ai fini della conservazione della diversità biologica.

[32]Si veda: P.W.BIRNIE-A.E.BOYLE, International law and the Environment, Oxford: Clarendon Press, 1993, cap. XI-XII-XIII; SCOVAZZI-TREVES, World Treaties for the Protection of the Environment, Milano: Istituto per l'ambiente, 1992, p. 323 ss.; P.FOIS, Le aree protette del Mediterraneo e il diritto internazionale. Studi di economia e diritto. In: Bollettino degli interessi Sardi. Sassari: 1992/4, p.659 ss.

[33]Tale documento intende apportare un contributo alla tutela delle specie migratrici che si riproducono, svernano o transitano nel nostro Paese, nel quadro della Strategia Nazionale per la Biodiversità.

 

[34]Cfr. G.U., suppl. ord. dell'8 gennaio 1983, n.16.

[35]Con tale legge, emanata dall'allora ministro della Marina mercantile Gianmario Carta, si individuano in tutta Italia 20 aree da destinare a parchi marini, di cui 4 in Sardegna. Tra queste ultime, vi rientrerebbe il Parco marino di Tavolara-Capo Coda Cavallo, compreso tra Capo Ceraso (a sud di Olbia) e Cala Finocchio (San Teodoro), con il quale si intende prioritariamente salvaguardare una delle zone costiere di più rilevante interesse naturalistico e ambientale della Sardegna.

[36]Cfr. G.U. del 14 marzo 1992, n.62.

[37]Cfr. G.U., Suppl. ord. serie gen. del 13 dicembre 1991, n.292.

[38]Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council “establishing a framework for maritime spatial planning and integrated coastal management”, COM(2013) 133 final.

[39]Communication from the Commission “ Blue Growth – opportunities for marine and maritime sustainable growth” COM(2012) 494 final.