FileAzione
Carlo Da Pozzo - Workshop 1 Turismo marino e costiero.pdfDownload Share on Facebook

Carlo Da Pozzo - Workshop 1  "Turismo marino e costiero"

Il turismo è sempre stato oggetto di riflessione  nelle Rassegne di Mareamico e non poteva certo mancare in una tenuta a Rimini.  I lavori, coordinati dal prof. Carlo Da Pozzo, del Comitato scientifico di Mareamico, si sono tenuti nella mattina di sabato 27 settembre ed hanno visto la partecipazione del prof. Jean-Pierre Lozato-Giotart , dell'Università La Sorbonne di Parigi, della dott.ssa  Saloua Aouij Chaouch, dell'Università di Tunisi, e di tre docenti dell' Università di Pisa: il prof. Riccardo Mazzanti, il prof. Sergio Pinna e il dott. Paolo Macchia. 

In particolare, il prof. Lozato ha iniziato i lavori svolgendo una relazione sulla pianificazione integrata in vista della realizzazione di un turismo marino e costiero sostenibile, mostrando come esistano ormai modelli consolidati di studio e di intervento; nella stessa ottica, il prof. Mazzanti ha fatto il punto sulla portualità turistica in Italia e sulle sue problematiche attuali; il dott. Macchia ha illustrato l'evoluzione recente della costa versiliese con i due opposti modelli di Viareggio e di Forte dei Marmi; il prof. Pinna ha poi mostrato come la sostenibilità del turismo e i suoi limiti ambientali sempre più spesso si trovano a dover fare i conti con un'informazione sbagliata, in particolare in fatto di clima e di eventi meteorologici "estremi"; la dott.ssa  Aouij Chaouc ha quindi affrontato il tema della crocieristica, proponendo ipotesi di un suo ulteriore sviluppo nel Mediterraneo, grazie alla sinergia di possibili circuiti di manifestazioni e di eventi coordinati fra i vari scali. Il prof. Da Pozzo, infine, ha tirato le conclusioni sottolineando come, da tutti gli interventi, sia apparsa ormai inderogabile la necessità di una pianificazione veramente razionale e integrata del fenomeno turistico, proprio alla luce di quanto sta accadendo sia sul piano economico che su quello ambientale. 

In effetti, è chiaro che i turisti sono attratti in un luogo in ragione della bellezza del mare e della costa, della facilità con cui possono raggiungersi, della qualità delle infrastrutture d'alloggio e della comodità dei servizi offerti, ma è anche altrettanto evidente che la primitiva politica di incremento delle infrastrutture per provocare e/o soddisfare la domanda riesce fino a quando non si violano i limiti del sovraccarico ambientale, perché l'eccesso di affollamento rendendo meno vivibile la spiaggia e, soprattutto, rischiando retroazioni assai più pesanti (dalla carenza dei minimi di disponibilità idrica fino all'eccesso di rifiuti e di inquinamenti) finisce col distruggere la stessa attrattività turistica. In altre parole, l'aumento delle presenze e delle costruzioni strutturali e infrastrutturali dopo il primo momento di arricchimento può causare l'impoverimento delle zone turistiche traducendosi in rapido degrado dei luoghi, soprattutto in combinazione con congiunture economiche negative. 

Né è da credere che l'elemento mare, per la sua vastità, sia esente dal rischio di sovra-carichi: basta vedere la quantità di navi e battelli che lo solcano (ormai anche da internet "in tempo reale"), per rendersi conto che il rischio per i mari chiusi e frequentati come il Mediterraneo è più che reale. 

In questa direzione anche il primato delle crociere, condiviso con i Caraibi -il mediterraneo americano- e rafforzato dall'unificazione del maggior armatore, può ritorcersi contro, aiutato non poco dal gigantismo delle navi usate: la crescita dimensionale consente un minor costo di trasporto pro capite (e quindi un aumento di guadagno) e una maggior quantità di servizi a bordo (e quindi un aumento di appetibilità) ma, al contempo, provoca nel porto e nel waterfront problemi non piccoli di intasamento, di inquinamento e, nel caso limite di Venezia, per esempio, anche di sicurezza dell'assetto urbano. Una miglior distribuzione dei circuiti e delle tappe sembrerebbe auspicabile ormai non soltanto per sviluppare sinergie, anche internazionali, ma altresì per alleggerire alcuni carichi costieri.  

Per evitare situazioni siffatte, a terra e in mare,  s'è sviluppata una vera e propria ingegneria del turismo, che sulla base di studi e ricerche specifiche, nonché di interventi operativi, ha costruito ormai una sessantina di famiglie di modelli (una ventina delle quali relative al mare e alle coste) per calcolare l'optimum di carico turistico locale e per pianificare così il territorio al riparo dalle retroazioni negative. Sicché quando vediamo ancora esempi -e sono molti- di degrado turistico (e ambientale) dobbiamo ricercarne le cause non nella fatalità o nell'ignoranza, ma nella cattiva programmazione e/o nell'incuria di imprenditori e di amministratori pubblici. 

Un settore che recentemente s'è parecchio esposto a rischi simili è quello della portualità turistica: il successo degli ultimi decenni della diportistica e della vendita di natanti è ben noto così come il conseguente bisogno di rimessaggi e posti barca; ma non sono pochi i casi in cui si cominciano a pagare certi eccessi costruttivi vedendo semivuoti porticcioli e marine nuovi, magari a fianco di catenarie o di ormeggi di fortuna (se non abusivi) saturi. Spesso ci si accontenta di una spiegazione "economica": il posto-barca è troppo caro (soprattutto in Italia) e con la crisi attuale è ovvia una ricerca di sistemazioni alternative; ma quando contemporaneamente si vede che proprio i porti e i marine più esclusivi sembrano non conoscere la crisi, non può non venire il dubbio che più che di un fenomeno congiunturale si tratti di uno sbaglio di programmazione tra offerta e domanda: uno sbaglio che costa in termini di denaro e, ancor più, di ambiente (aumento della cementificazione inutile della costa, dell'inquinamento, distruzione di ecosistemi, ecc.). 

D'altra parte, da quando s'è affermato storicamente il turismo "di massa" abbiamo assistito ad una diversificazione via via sempre più marcata fra differenti tipologie di turismo prima sul piano della capacità di spesa e poi su quello delle preferenze del turista, che un po' alla volta è arrivato ormai ad alimentare nicchie di specializzazione, perfino paradossali (si pensi a certi "turismi estremi") rispetto a ciò che era all'origine la ricerca di vacanza e di ferie.  Alla diversificazione tipologica ha corrisposto una analoga diversificazione fra i luoghi deputati a soddisfare le differenti esigenze e, ancora una volta, la riuscita  del turismo come motore di sviluppo è dipesa, e dipende sempre più,  da una capacità di programmazione territoriale coerente con la quantità e le esigenze (e il budget) dei diversi flussi. 

In Versilia (lato sensu), nel giro di poco più di 15 km di costa, abbiamo due esempi di tipologie quasi opposte: Forte dei Marmi a Viareggio. La prima, fin dall'origine nicchia elitaria dove al contenuto numero di ospiti fa riscontro una loro grande capacità di spesa (quest'anno anche 100.000 € d'affitto per una villetta), tiene ancora oggi a rafforzare questo modello e fra gli  interventi degli ultimi anni più significativi al proposito si segnalano da un lato la chiusura degli alberghi con 2 o 3 stelle e la loro riqualificazione in categorie superiori oppure la loro ristrutturazione in ville o alloggi di lusso e, dall'altro lato, la cura dei servizi e i provvedimenti e le normative volte a evitare il "disturbo" della vacanza.  A Viareggio, invece, quando si affermò il turismo "di massa" ci si rivolse a privilegiare -per così dire- la quantità, sicché spiccano alcuni stridenti contrasti stilistici nei palazzi e negli alberghi "in passeggiata"  e l'intensità d'uso del suolo e gli interventi si rivolgono ancora in questa direzione, con un bisogno assai maggiore però di innovazione continua, tanto nell'offerta di servizi, quanto nella creazione di eventi di richiamo. 

La diversità di questi due turismi e dei luoghi da essi costruiti si rispecchiava bene

iconograficamente nei due locali-simbolo della Capannina e del Piper (la prima ancora esistente e il secondo trasformato dalla moda).è ovvio che i due modelli persistono anche in funzione della diversità del territorio amministrativo, il primo piccolo (9 kmq), con poche migliaia di abitanti (7.700) e, nell'insieme, semplice e specializzato, il secondo più grande (32 kmq) con decine di migliaia di abitanti (63.400) e una complessità da città con economia diversificata; è comunque un fatto che il primo si dimostra di buona stabilità nel tempo (cambia la provenienza dei clienti -dagli USA, al NordEuropa alla Russia- ma il guadagno resta) mentre il secondo sembra più soggetto alla congiuntura economica e meteorologica: è opinione corrente, infatti, che la perdita di quest'anno vada imputata, oltre che alla crisi, anche al maltempo. 

In effetti, per quanto tutti si concordi sull'importanza del "tempo" quasi nessuno, poi, inserisce quest'ultimo tra i limiti ambientali di cui s'è parlato e non c'è, al momento, alcuna ingegneria che possa fermare o cambiare le condizioni meteo. Comincia a manifestarsi, invece, e si propone come un fattore di rischio non piccolo, il problema di comunicazione del meteo stesso. La comunicazione, intesa come pubblicizzazione di sé e delle proprie qualità, è nata insieme al turismo e perciò ha lunga esperienza, ma la rivoluzione contemporanea dei media e di internet non ne accresce soltanto diffusione e portata ma, frammentandola in tanti rapporti diretti "offerta del servizio-giudizio dell'utente", obbliga alla nascita di quei "garanti della verità" rappresentati dai certificatori o agenti pubblici (Emas, Ecolabel) o privati della qualità dei servizi turistici o perfino della comunicazione stessa. 

Ma nessuno garantisce la comunicazione del tempo e del maltempo. Sull'onda della moda diffusa dall'allarmismo climatico, dilaga una percezione del clima impazzito e degli eventi estremi, eccezionali ma quotidiani, che sicuramente non induce a muoversi e a far vacanza se il tempo non è più che sereno.  Sarebbe troppo lungo, pur se divertente, elencare le panzane e le assurdità "climatiche" narrate dai media, spesso col supporto o con l'intervista di esperti -o sedicenti tali-, a questo proposito; ma il divertimento cessa  quando da stampa, tv o rete web si passa ai documenti di governo in cui si recepiscono le piacevolezze di cui sopra, perché allora diventa facile immaginare il danno che ne può derivare in termini territoriali, anche per il turismo: un danno  maggiore di qualche diminuzione congiunturale di turisti  per il maltempo. 

Mi limito ad un solo esempio di pochi anni fa. Nel gennaio 2007 un rapporto  sul clima (frutto del progetto GMes) adottato dalla Commissione Europea annunciava che entro i prossimi settant'anni gli effetti del riscaldamento globale (sommersione delle coste, desertificazione, riscaldamento dei mari, ecc.) avrebbero stravolto la tradizionale "periodica migrazione turistica nel vecchio Continente, la maggiore del globo" spostandola, insieme ai relativi 150 miliardi di euro, dal Mediterraneo  al Mare del Nord e al Baltico, le nuove Riviere.  Per fortuna l'attore economico (più accorto e meglio informato ?) non ha finora fatto proprio questo scenario dell'attore politico e non ha dirottato in tale direzione gli investimenti, anzi l'unica conseguenza mi pare sia stata lo spot televisivo di un'immobiliare che pubblicizzava delle villette sulle colline costiere marchigiane con lo slogan "la vostra casa delle vacanze, oggi in collina e domani sul mare".

Prof.  Carlo Da Pozzo

Università di Pisa

Comitato Scientifico Mareamico