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Carlo Da Pozzo - Turismo fra globalizzazione e comunicazione ITA.pdf | Download Share on Facebook |
Dopo il felice risultato del 2006 e quello contraddittorio del 2007, i dati mostrano chiaramente che il 2008 è stato un anno di crisi per il turismo italiano, che ha visto diminuire arrivi e presenze e, come ha dichiarato il Sottosegretario Brambilla, “non ha minimamente agganciato i flussi turistici nel mondo” (Adnkronos, Roma, 29/09/2008).
Così prendono forza le analisi e le argomentazioni che già da tempo si avanzavano relativamente alla necessità di promuovere maggiormente il turismo italiano e, soprattutto, di rimuovere le cause di un suo progressivo attardamento rispetto al mercato mondiale. In tale contesto Matteo Marzotto, presidente dell’ENIT, lamenta la frammentazione delle iniziative regionali rivendicando l’urgenza di un maggior centralismo e ribadisce l’importanza di offrire al turista che viene in Italia l’eccellenza, perché il ripetersi di giudizi risultanti da attese deluse dirotterà in futuro su altri Paesi non soltanto i singoli turisti insoddisfatti, ma anche i flussi degli operatori di settore: “E già chi sale su un aereo scegliendo il prodotto Italia, da quel momento valuta tutto con attenzione. Tale valutazione inizia già nell’esperienza del viaggio. E l’eccellenza di un’esperienza, di un’esperienza di acquisto, deve trovarsi in tutte le sue varie componenti: nel negozio, nelle luci, nella gentilezza di chi accoglie e, naturalmente, nel prodotto. Il cliente che sceglie l’Italia deve trovare questa eccellenza perché avere città d’arte come Venezia, Firenze o Roma non basta più: ci vuole un’offerta completa, un pacchetto. E, in questo senso, anche la questione del prezzo diventerebbe secondaria.” (Silvia Sitari, Intervista a Matteo Marzotto/ Per rilanciare il “prodotto Italia” ci vuole una strategia complessiva, L’Opinione.it, n. 206 del 30-09-2008).
Non c’è dubbio che in questa ricerca “di garanzia della qualità” qualcosa si sia già mosso e altro si vada muovendo: dalle sempre più frequenti assegnazioni di marchi, patenti, certificati, bandiere da parte di associazioni o agenzie di settore - talvolta anche pubbliche - per attestare le qualità più varie, singole o globali, di luoghi e strutture fino all’avviata revisione ed unificazione governativa dei criteri nazionali di attribuzione delle “stelle” agli alberghi.
Ma basterà questo tipo di strategia per far tenere alla meta Italia il posto finora conquistato nel turismo internazionale ? In effetti, gli scenari di globalizzazione obbligano ad approfondire la riflessione, dopo le prime e immediate considerazioni sulla crescita di visitatori, di paesi visitati e di relativo giro d’affari, sul conseguente aumento d’importanza del fenomeno come sostegno alle economie nazionali e come motore di sviluppo e, quindi, sulle sue ricadute in termini di sostenibilità ambientale e sociale.
Il nodo più difficile da sciogliere sembra oggi quello del senso reale della crisi mondiale che è scoppiata: congiunturale, quindi riassorbibile nel giro di qualche tempo ‑ com’è opinione dei più ‑, o strutturale, quindi riassorbibile soltanto dopo significativi cambiamenti di indirizzi economico-politici ?
È evidente che il turismo sarà comunque seriamente attraversato dalla crisi: nel primo caso, alla minor disponibilità di spesa della massa (il turista è essenzialmente un cittadino di paesi già sviluppati o in fase di forte decollo) sembra naturale la risposta di una contrazione degli spostamenti col conseguente inasprimento della concorrenza centrata sul binomio qualità-prezzo. In questo quadro la ricordata strategia della garanzia di qualità sembra risposta indispensabile, prima ancora che vincente.
Esaminando meglio, però, la certificazione della qualità ci si accorge che essa riguarda essenzialmente la dotazione strutturale e infrastrutturale dell’accoglienza e/o la purezza e l’integrità dell’ambiente. In tale contesto, per l’Italia, come per qualsiasi altro paese che nella classica teoria delle fasi dello sviluppo turistico abbia raggiunto la maturità prima della saturazione, battere la concorrenza dei paesi in fase pioniera e di crescita mi pare quanto mai arduo, se in questi ultimi l’impianto delle attività turistiche è fatto con un minimo di pianificazione esperta (garantita di solito dal capitale investitore non necessariamente locale), assicurando l’optimum di qualità di strutture nuove, evitando il sovraccarico sull’ambiente, collegandosi a solidi “pacchetti” di mercato: il vantaggio del minor costo della manodopera locale farà sempre la differenza.
Anche l’attrattiva delle località uniche per storia e per cultura, le città d’arte di cui l’Italia in particolare può vantare primati mondiali, non può chiamarsi fuori dal problema, nella misura in cui i segni della storia e dell’arte non sono prerogativa di un solo paese, ma si possono trovare ovunque l’uomo ha costruito e costruisce il proprio territorio. Non è la quantità dei manufatti a determinare l’attrattività, ma la qualità, cioè la fama attribuita al manufatto dalla pubblica opinione, che se in passato era acculturata soprattutto dal sapere scolastico eurocentrico (non dimentichiamo che il turismo nasce come “gran tour” educativo) oggi pare sempre più soggetta alla comunicazione dei media e degli operatori di mercato, che costruiscono le attese “culturali” secondo paradigmi economicisti.
In questa linea, a ben vedere, l’evoluzione più recente del turismo sembra escludere dalle attese la concretezza dell’identità di un luogo per cercare di più quella di una determinata tipologia standardizzata di struttura ricettiva o di pacchetto turistico (dal fine settimana in città d’arte fino ai rischi dei turismi “estremi”): la letteratura sui non-luoghi che si sostituiscono ai luoghi è ormai abbondante. Se è appena il caso di ricordare come esistano ormai strutture capaci di offrire agli utenti gli ambienti caratteristici di qualsiasi latitudine (nei grattacieli del Dubai si può fare dello sci alpino), vale la pena, invece, di riflettere sul fatto che nell’esplosione recente del turismo crocieristico la suddetta tendenza si esalta fino a capovolgere le motivazioni originarie del turismo stesso: la crociera nasce come viaggio, possibilmente piacevole, per andare a visitare alcuni luoghi precisi, per vedere alcune coste, sbarcare in alcuni porti e spingersi all’interno ecc.; oggi invece, la crociera sta diventando - “promessa” e venduta - come un soggiorno su una certa nave, come stanza di un hotel di categoria varia (dall’extralusso fino al tre stelle…): il mezzo prevale sul viaggio!
Questa sorta di smaterializzazione dei luoghi e di negazione dell’individualità delle mete di destinazione ben si addice ai fenomeni odierni di una globalizzazione standardizzata dai media e dal web, che ha provocato una rivoluzione di cui si parla ancora troppo poco, annullando le regole dell’economia produttiva per sostituirle con quelle dell’economia virtuale, grazie anche alla caduta del vincolo di costo dello spazio, operata dalla rivoluzione dei trasporti. Telelavoro e teleproduzioni, e-commerce, e-money, e-learning, e-tutto stanno costruendo un nuovo sapere e una nuova società, il cui rischio maggiore, a mio parere, sta nel fatto che da qualche tempo ormai lo sviluppo del mezzo sta precedendo quello della conoscenza: miniaturizziamo, diversifichiamo e moltiplichiamo i computer, ne conseguono il gigantismo della rete e la sua pervasività ormai sulla vita di ogni giorno, ma non sappiamo ancora – o non vogliamo – controllare e guidare questa sua crescita quotidiana. Allo stesso modo la nuova economia ha imposto le sue regole alla politica obbligandola ad adeguarsi alla finanza – essa stessa spesso “inventata” da agenzie di rating – senza pensare più alla produzione, senza accorgersi di paradossi esistenziali come il fatto che dalla metà degli anni ’80 la moneta è solo carta o convenzione, oppure che per essere la massima potenza economica e politica bisogna aumentare il deficit commerciale fino a renderlo pari alle esportazioni.
È un tipico caso da effetto Edipo di popperiana memoria: negli ultimi trent’anni più l’attore economico con scelte di tipo assolutamente liberistico ha creato problemi (ambientali, sociali e produttivi), più l’attore politico ha tentato di affrontare gli stessi rinforzando le medesime scelte. Speriamo che almeno l’ultimissima “crisi finanziaria” con i primi provvedimenti di intervento diretto dello Stato nelle banche sia un segnale di inversione di tendenza, riportando l’attore politico al suo ruolo di legiferatore, cioè di garante di regole per l’interesse comune dei cittadini e della vita concreta, non di quella “virtuale”.
In questo senso, la pianificazione deve, a mio parere, riprendere la lena perduta più per cattivi programmatori che non per cattiva essenza, e, nella strategia della garanzia di eccellenza da offrire al turista, deve andare oltre il discorso di qualità delle strutture, per cercare di valorizzare l’unicità della risorsa posseduta, ancorandola ai luoghi e al contesto in modo da renderla inimitabile o non riproducibile altrove. Per questo occorre un lavoro sistematico di inventariazione e di analisi geografica e critica del territorio nazionale, come è emerso a settembre a Novara durante le Giornate del turismo 2008, organizzate dal prof. Adamo, per conto dell’Università del Piemonte Orientale e del consorzio universitario Re-Tour.
Non va dimenticato infine che nella società contemporanea non può esistere pianificazione senza adeguata comunicazione e non soltanto per ragioni astratte di democrazia, ma per ragioni concrete di riuscita, nel senso che gli obiettivi si raggiungono meglio se sono condivisi e si condividono quanto più si sono raffinati attraverso una comunicazione aperta e continuata.
Nel caso del turismo, poi, s’è ricordata prima la funzione della comunicazione come costruttrice di “fama” e di “attese” ed è evidente quanto sia importante saper costruire l’una e le altre in maniera coerente e adeguata allo scopo, senza eccessi e senza rischi di delusioni; ma voglio, in chiusura, ricordare un altro aspetto su cui non bisognerebbe correre più rischi: la necessità di una comunicazione ambientale corretta e non sensazionalistica, scientifica e non da paparazzi… soprattutto quando non si è giornalisti in cerca di ribalta, ma si è ministeri o governi o comunità europea.
È noto come il “cambiamento climatico” abbia assunto una valenza politica da cui era impensabile forse che il MATT restasse esente, basti pensare al mega-evento, mediatico prima ancora che scientifico, rappresentato dalla grande conferenza nazionale sul clima del 12-13 settembre 2007: i giornali hanno esaltano i dati sensazionali (L’Italia che si scalda più di tutto il pianeta, le coste che si sommergono, il territorio che si desertifica, il Po che rischia di fermarsi a Ferrara, ecc.) senza accorgersi che i dati non supportano affatto, o quasi, la sostanza, perché, per esempio, con gli ipotetici 20-30 cm, poco più di un palmo, entro la fine del secolo va sott’acqua assai poco. D’altra parte, nel gennaio del 2007 l’UE ha lanciato l’ennesimo allarme preparato da una sua commissione di esperti, il cui rapporto allargava il panorama anche agli sconvolgimenti sull’ambiente economico, non solo come danni provocati da siccità e alluvioni, e come disastri sulle coste, sulla pesca e sull’agricoltura, ma anche come catastrofe – nel senso etimologico del termine – delle attività turistiche. In maniera assolutamente coerente il Corriere della Sera titolava “Effetto serra, turisti in fuga dal Mediterraneo” e La Stampa faceva eco “La Riviera emigrerà sul Mar Baltico”.
Da scenari siffatti ci si possono attendere la fine di qualsiasi nuovo investimento nel settore e una rapida fuga o riconversione dei capitali oggi impegnati in quelle attività e in quei luoghi. Il disastro sociale e territoriale conseguente è più che evidente e tale da indurre qualche dubbio sulla “ingenuità” degli autori, scienziati o sedicenti tali. Se il disastro resterà invece solo “annunciato” è perché la logica economica ragiona in termini di pochi anni e non di decenni: ma, una tantum, questo suo ragionamento, per quanto assolutamente antitetico e nefasto rispetto alla logica dell’ecosistema, salva il contesto umano e l’unica ripercussione sembra al momento essere stata in uno spot televisivo di un’immobiliare romagnola che pubblicizzava “la tua villetta oggi in collina e domani sul mare” !!!
Prof. Carlo Da Pozzo – Università di Pisa
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