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Antonio Mazzola - Effetti sulla biodiversità delle attività produttive in mare

La gestione integrata delle risorse del mare e delle aree di costa è ormai al centro di sempre più accesi dibattiti nel mondo delle politiche ambientali, a tal punto che il Sesto Programma di Azione per l'Ambiente della Comunità Europea (2001-2010) riconosce la necessità di integrare pienamente le questioni ambientali nella Riforma della Politica Comune sulla Pesca (PCP) e estendere la rete Natura 2000 delle aree e degli ecosistemi naturali più rappresentativi alle zone marine.

                Nella strategia della CE c’è l’obiettivo di aiutare a migliorare i problemi dovuti alla mancanza di coordinazione tra i diversi interessi coinvolti nelle zone costiere, ponendo al centro del dibattito un tema trasversale come la biodiversità marina.

                Dall'analisi degli obiettivi che si pone, tale azione potrebbe risultare molto efficace anche perché mette insieme le attività della pesca con quelle dell’acquacoltura, due comparti che molto spesso sono stati trattati come settori diversi.

                Questi obiettivi puntano sulla conservazione e sull'uso sostenibile degli stock e degli allevamenti di pesci attraverso misure che influenzano direttamente la popolazione, quali la dimensione delle maglie delle reti, la riduzione dell'impatto delle pratiche delle industrie della pesca sulle specie e sugli ecosistemi marini e costieri e la localizzazione e la gestione attenta delle strutture per l'acquacoltura.

                Il Piano di Azione sulla Biodiversità per la Pesca riguarda sia le industrie della pesca che la maricoltura. Il programma auspica una maggiore attenzione agli obiettivi dello sviluppo sostenibile nella Politica Comune sulla Pesca attraverso:

  • una riduzione della pressione della pesca sulle specie commercialmente sfruttate;
  • una riduzione dell'impatto delle industrie della pesca sulle specie e sugli habitat;
  • un miglioramento delle strutture per la ricerca e il monitoraggio della gestione delle stesse industrie e maggiore sostegno alla ricerca sulla biodiversità dei pesci e degli habitat prioritari;
  • una riduzione dell'impatto delle attività di acquacoltura sull’ambiente, la limitazione dell'introduzione delle specie non-indigene, il controllo delle alterazioni genetiche sulle popolazioni naturali.

                Le proposte pertanto riguardano una riduzione sostanziale della capacità di pesca  ed una più corretta gestione degli allevamenti all’interno dell'UE, misure necessarie per assicurare la funzionalità ecologica delle risorse marine e la loro utilizzazione sostenibile nel medio e lungo termine, considerazioni ambientali coerenti che rappresentano l'inizio di uno spostamento dell'attenzione dalla biologia delle popolazioni delle specie commerciali dei pesci ad un approccio ecosistemico più olistico.

                E’ evidente quindi che la pesca e la gestione della biodiversità marina sono tra i settori in cui è più necessaria una cooperazione transfrontaliera e che occorra sempre una maggiore cooperazione tra i Paesi dell’UE e non, anche attraverso numerose organizzazioni internazionali per la conservazione e l'uso sostenibile delle risorse biologiche marine.

                Si ricordano a tal proposito la Convenzione di Barcellona, il protocollo sulle Aree Speciali Protette di Importanza Mediterranea (ASPIM), la Convenzione per la Protezione dell'Ambiente Marino del Nordest Atlantico (OSPAR Convention), la Convenzione per la Protezione dell'Ambiente Marino del Mar Baltico (Convenzione di Helsinki).

                Per quanto concerne l’acquicoltura il suo rapporto con l’ambiente è diventato sempre più oggetto di dibattiti tra acquicoltori, ambientalisti, ecologi ed amministratori. La ragione del contendere sta nell’individuare e definire quelli che devono essere i confini tra conservazione ed acquicoltura nel quadro di uno sviluppo sostenibile.

                L’applicazione dei concetti di sostenibilità all’acquicoltura apre un nuovo scenario per tutto il comparto ed implica l’adozione di nuove specie e nuovi sistemi di allevamento, in armonia con tutte quelle altre attività economiche che fanno uso delle risorse naturali. Oltre alla conservazione delle risorse naturali e della biodiversità, perché un’acquicoltura possa rientrare in una logica di sostenibilità, deve svilupparsi tenendo in debita considerazione la riduzione degli inquinamenti delle acque, l’uso di tecnologie appropriate ai luoghi e alle diverse situazioni, la produzione di profitti e di benessere economico con il minimo costo, e la limitazione di contrasti e conflitti sociali. La sostenibilità passa anche attraverso un’acquicoltura responsabile, secondo il codice di condotta FAO del 1995 che prevede fra l’altro la valorizzazione dei sistemi marino-costieri, con un dimensionamento delle produzioni adeguato alla ricettività dell’ambiente e con l’adozione di tutti i possibili accorgimenti tecnologici per la neutralizzazione degli inquinanti. Ad esempio la valorizzazione produttiva di ambienti di transizione come lagune, valli da pesca, mari interni, bassifondi costieri viene vista oggi come nuova possibilità per la conservazione stessa di questi biotopi, che da sempre hanno rivestito notevole importanza per la loro elevata produttività biologica. Nella gestione di questi ambienti l’interazione uomo-natura consente elevati livelli di conservazione della biodiversità e delle colture, le cui relazioni vanno difese e valorizzate secondo la convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro. L’obiettivo principale è quello di sviluppare un modello che integri la conservazione delle risorse naturali, la sostenibilità ambientale, la salvaguardia ambientale e il mantenimento di ambienti estremamente pregiati da un punto di vista naturalistico e con alto grado di vulnerabilità.

                Il mare ci sostiene, ma noi non lo stiamo sostenendo. La diversità della vita negli oceani è stata drammaticamente alterata dallo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche. Molte popolazioni ittiche di interesse commerciale e molte specie marine associate sono in declino, e si stanno rapidamente degradando ecosistemi marini e costieri, ed altri habitat, cruciali per il loro ciclo vitale. Il mare provvede a numerose funzioni essenziali quali la regolazione del clima ed il riciclaggio delle sostanze nutritive. Esso è fonte di cibo, medicine ed altri mezzi di sussistenza di vitale importanza, nonché di valori culturali e spirituali fondamentali, per molte società umane. Non è a rischio solo la biodiversità del mare, ma anche la vita di milioni di persone che dipendono dal mare per il cibo e per il proprio sostentamento.

                Le società industrializzate, pertanto, debbono ridefinire il loro rapporto col Mare. C'è bisogno di una transizione rapida e profonda verso un uso delle risorse marine in modo responsabile e di modificare i nostri attuali modelli di consumo. Bisogna che i livelli di pesca, per essere ecologicamente sicuri, siano fissati in modo precauzionale così da tenere in piena considerazione il funzionamento di ecosistemi complessi come quelli marini.

                Occorre preparare e mettere in atto programmi che garantiscano un controllo ed una gestione efficace dell’intero comparto produttivo, comprese le flotte pescherecce, le imprese di pesca, le industrie della lavorazione, il commercio, l’ubicazione degli impianti di allevamento, le specie allevate, le pratiche colturali adottate. Per arrivare alla gestione responsabile delle risorse biologiche marine si devono seguire vie trasparenti e condivise tra i gruppi di interesse e la gestione deve basarsi sul principio dell'approccio precauzionale e cioè che le attività siano condotte in un modo tale da garantire il minimo rischio di danni gravi o irreversibili alle specie e agli ecosistemi. L’enfasi va spostata sulla prevenzione del danno, piuttosto che sul tentativo di riparare agli errori, e l'approccio precauzionale deve essere sempre applicato, anche quando le popolazioni ittiche sono abbondanti.

 

Antonio Mazzola

Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM) sez. Ecologia - Università di Palermo