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Antonio Felice Petrillo - I problemi della portualità: la situazione pugliese

La liberalizzazione dei traffici commerciali attraverso il Canale di Suez ha determinato la riscoperta della centralità del Mediterraneo, restituendo ai nostri mari un ruolo chiave che nel corso dei secoli. era stato via via ridimensionato.

Inoltre, la Legge 84/94, attinente al riordino della legislazione in materia portuale e, successivamente, il Decreto legislativo 112/98 concernente il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, hanno creato una vera rivoluzione nello sviluppo e nella gestione dei porti italiani, ponendo le basi per un poderoso sviluppo delle infrastrutture portuali e dei traffici marittimi ad esse connessi.

Tali favorevoli circostanze devono far riflettere sull’opportunità di operare in modo da sfruttare al massimo il trend favorevole, con conseguire vantaggi sociali ed economici per le comunità costiere italiane.

E’ evidente che, accanto agli aspetti positivi legati all’incremento dei traffici marittimi, che in prospettiva potranno alleggerire il trasporto su gomma con innegabili benefici ambientali, devono essere considerati tutti i problemi connessi con la sicurezza e l'inquinamento dell'ambiente  marino - costiero, che esulano da questo intervento.

La legge 84/94 che ha di fatto istituito le Autorità Portuali, conferendo loro una grande autonomia, sia di programmazione che di infrastrutturazione, ha consentito ai grandi porti italiani di compiere un poderoso salto in avanti. In molti casi, grazie ad un’attenta politica gestionale, si è assistito ad incrementi di traffico decuplicati rispetto al passato. Risultati così positivi possono essere raggiunti se si verificano simultaneamente due condizioni essenziali: un’attenta politica commerciale e la disponibilità di strutture idonee al soddisfacimento delle esigenze dell’utenza.

Ovviamente, il successo dei porti è legato, oltre che alle citate condizioni, di stretta competenza delle Autorità portuali, alla presenza di una serie di condizioni al contorno proprie del territorio, come ad esempio, la presenza di un adeguato sistema di trasporti a terra che faciliti l’intermodalità dei trasporti (specie per porti a vocazione commerciale), una buona ricettività e l’esistenza di luoghi di interesse turistico facilmente raggiungibili dall’area portuale (specie per porti a vocazione a traffico passeggeri).

Gli strumenti con cui realizzare i su citati presupposti sono definiti dalla L. 84/94. In particolare, va considerato l’obbligo della Autorità Portuali di dotarsi di un Piano Regolatore Portuale, che venga condiviso dalle Amministrazioni interessate (in primis quella del Comune in cui sorge il porto) in modo da garantire uno sviluppo armonico del territorio di riferimento.

Le linee guida per la redazione dei P.R.P., emanate dal Consiglio Superiore dei LL PP, contengono una serie di indicazioni circa le analisi e gli studi da eseguire e consentono ampi spazi di programmazione alle Autorità Portuali, imponendo al contempo la massima attenzione alla tutela ambientale ed al rispetto di adeguati requisiti di sicurezza. Esse inoltre suggeriscono di porre particolare attenzione ai rischi di recessione, predisponendo piani con elevata elasticità di conversione dell'uso delle infrastrutture portuali.

Si può affermare che le indicazioni contenute nelle linee guida risultano esaustive di tutte le problematiche connesse con lo sviluppo delle attività portuali e che la predisposizione dei P.R.P. a cura delle Autorità Portuali costituirà elemento imprescindibile per il loro sviluppo.

Attualmente, molte Autorità Portuali hanno avviato le procedure indispensabili per revisionare i propri P.R.P., in modo da pervenire ad un nuovo assetto, più in linea con le moderne esigenze dei traffici marittimi.

Fra le Regioni che maggiormente potrà beneficiare della L. 84/94 vi è certamente la Puglia che annovera sul suo territorio ben tre Autorità Portuali: Bari, Brindisi e Taranto (si osservi che solo la Sicilia e la Liguria sono pari alla Puglia, mentre le altre Regioni Italiane sono in genere caratterizzate da un numero minore di porti di interesse nazionale).

Questa considerazione pone il problema di un coordinamento fra le Autorità Portuali regionali. In tal senso, il piano regionale dei trasporti si è sforzato di proporre una diversificazione dei traffici, anche se è innegabile che esistano sovrapposizioni di interessi, soprattutto fra i parti di Bari e Brindisi.

Il piano, già illustrato nel corso del presente convegno, prende le mosse, oltre che dalle specifiche vocazioni territoriali pugliesi, dallo sviluppo dei nuovi corridoi europei che dovrebbero garantire i futuro un incremento degli scambi con il vicino oriente e delle autostrade del mare di cui tanto si discute. Con queste ipotesi è facile prevedere che la Puglia possa costituire un polo di traffico di grande importanza, nel cui ambito assume rilevanza fondamentale il ruolo dei porti.

Ovviamente, una pianificazione regionale in tema di portualità, non può limitarsi alle sole attività commerciali, ovvero alle strategie di sviluppo dei porti maggiori. Infatti, qualsiasi attività connessa con il mare, non può prescindere dalla presenza sul territorio di ricoveri sicuri e ben distribuiti, dotati di adeguate infrastrutture. Le Regioni con un elevato sviluppo costiero, quale la Puglia, hanno, o dovrebbero avere, un tessuto sociale che non può prescindere dallo sviluppo di attività connesse con il mare, quali  la pesca ed il turismo, oltre che i traffici commerciali.

Fermo restando che, come per i traffici commerciali, i requisiti per una crescita sostenibile di tal attività sono di respiro molto più ampio di quelli che possono essere richiamati in questo breve intervento che ha per oggetto le problematiche connesse con i porti, si deve segnalare che le considerazioni innanzi svolte per quanto riguarda i porti maggiori, possono essere mutuate per tutti i porti minori. Dunque, requisito basilare per lo sviluppo dei porti minori è che ciascuno di essi si doti di Piani regolatori in linea con le proprie esigenze e non in contrasto con le indicazioni dei Piani Regionali.

Secondo le interpretazioni giuridiche più diffuse, e fermo restando i dubbi circa l’iter di attuazione di tali P.R.P., il D. L. 112/98 affida alle Regioni, di concerto con i Comuni, questo importante compito. Purtroppo, ad oggi in molti casi, alle Regioni mancano le necessarie competenze tecniche, sia per la redazione dei P.R.P che per la gestione delle infrastrutture costiere, con la conseguenza che la maggior parte dei porti minori risulta priva di Piani regolatori organici e moderni e le regole di gestione sono piuttosto vaghe ed a volte improvvisate.

Inoltre, la già citata esigenza di coordinamento fra strutture portuali che ricadano nello stesso territorio è ancor più avvertita se si considerano anche i porti minori.

Ad esempio, in Puglia, almeno sulla carta, esistono 39 porti regionali e comunali, oltre ai porti sede di Autorità precedentemente menzionati. Fra questi, alcuni completamente inutilizzabili per carenze infrastrutturali, altri (la maggior parte) inadeguati a soddisfare le diverse utenze con un sufficiente grado di sicurezza.

Si deve inoltre ricordare che le ragioni storiche che hanno portato alla costruzione dei porti attualmente presenti sul territorio, sono le più disparate e comunque legate ad esigenze locali. Ciò ha determinato una distribuzione territoriale spesso caotica e, quasi sempre, incurante dei problemi ambientali connessi con la costruzione dei porti.

Così, ad esempio, alcuni porti nati con vocazione specialistica a servizio di poli industriale, hanno conosciuto un inarrestabile declino al venir meno dei presupposti per i quali erano stati costruiti. Altri hanno determinato modifiche radicali al regime dei litorali, con conseguenze a volte drammatiche. Infine, altri ancora, hanno assistito impotenti al depauperamento delle flotte di progetto per l’incapacità di adeguare le proprie infrastrutture alle mutate esigenze produttive.

Come non citare ad esempio l’impoverimento dell’attività cantieristica legata alla mancanza di spazi a terra ed all’impossibilità di adeguare le strutture esistenti alle moderne tecnologie di lavorazione ed approvvigionamento del materiale; oppure l’abbandono di alcuni porti ad opera di intere flotte pescherecce per la mancanza di impianti frigoriferi e/o di spazi commerciali attrezzati.

Se a queste problematiche si aggiunge la quasi totale assenza, nei porti regionali, di impianti atti ad impedire il degrado dalla qualità delle acque, si ottiene un quadro preoccupante circa le reali potenzialità di sviluppo sostenibile dell’intero sistema portuale.

Da quanto su esposto, sia pure in forma molto sintetica, scaturiscono alcuni suggerimenti tesi a favorire lo sviluppo di importanti settori dell’economia, non solo regionale, ma anche nazionale.

Innanzitutto l’esigenza di dotare quanto prima tutti i porti di adeguati P.R.P, che consentano ai gestori ed agli operatori di settore di effettuare interventi mirati e congruenti con le ipotesi di sviluppo assunte.

In secondo luogo, come più volte ribadito, occorre che le Regioni si facciano promotori di un’intensa azione di coordinamento che sfrutti tutte le possibili sinergie fra i porti presenti sul territorio. Una modalità operativa che potrebbe in qualche misura ottimizzare le risorse disponibili, consiste nell’affidamento della gestione di alcuni porti minori alle Autorità Portuali, in modo che alcune delle utenze dei porti maggiori possano essere dirottate sui porti limitrofi che verrebbero così inserite in un contesto più ampio e certamente più organizzato. Si può a tal proposito riflettere, a titolo di esempio, sulla situazione del Comune di Bari che, oltre al Porto principale, annovera numerose strutture minori, alcune delle quali assolutamente inadeguate o inutilizzabili. Il loro trasferimento all’Autorità Portuale favorirebbe la messa a punto di strategie sinergiche tese al completamento e/o adeguamento delle infrastrutture e ad un riordino complessivo delle attività portuali.

Sempre nell’ambito di un’azione di coordinamento su scala regionale, si deve suggerire la redazione di un Piano Regionale della Portualità, con particolare attenzione alle esigenze turistiche. Nel corso degli ultimi anni, infatti, assurgono spesso agli onori della cronaca, nuove iniziative di ampliamento dei porti esistenti, o  proposte di realizzazione di nuovi porti turistici.

Tali iniziative trovano ispirazione nella legittima aspirazione di gruppi imprenditoriali e delle Amministrazioni comunali di attrarre investimenti e/o nuove risorse sul proprio territorio. Esse vanno dunque considerate con interesse, ma anche con grande attenzione, per evitare che il proliferare di nuovi insediamenti possa rendere vano l’impegno finanziario, producendo al contempo un insostenibile impatto ambientale. Inoltre, per quanto attiene specificatamente al territorio pugliese, il gran numero di porti già esistenti farebbe pensare, con un approccio superficiale al problema, all’inutilità di nuove infrastrutture, che risulterebbero in esubero rispetto alle reali esigenze. Al contrario, come già sottolineato, vi è una reale inadeguatezza, sia dal punto di vista strutturale che da quello della distribuzione territoriale. Se quindi è indubbio che si debbano privilegiare interventi di potenziamento delle strutture esistenti che non alterino l’attuale regime del litorale, è anche opportuno riconoscere che lo sviluppo del turismo nautico e delle attività ad esso connesse passi attraverso la realizzazione di nuovi porti.

Occorre dunque selezionare attentamente le proposte di intervento, definendo al più presto validi criteri di scelta, che certamente non possono essere ispirati dalla maggiore o minore influenza degli estensori delle proposte o dalla maggiore o minore tempestività con cui le stesse vengono formulate.

Spetta infatti all’Amministrazione Regionale definire le linee di sviluppo generali del territorio, garantendo pari opportunità alle comunità costiere. In base a questo principio generale, proposte di costruzione di nuovi porti potranno essere accolte sulla base di un criterio di equidistribuzione sul territorio, ovvero di limitato impatto sul regime dei litorali, in modo che il beneficio socioeconomico derivante dalla costruzione di un nuovo porto, non venga pagato in termini di danno ambientale dalle realtà territoriali limitrofe.

Il piano della portualità regionale, inoltre, non potrà prescindere dal legame esistente fra il territorio costiero e quello interno, esso, infatti,  dovrà consentire il facile collegamento tra i porti e gli  itinerari turistici che interessino l’intero territorio regionale.

In conclusione si può affermare che per cogliere le importanti opportunità di sviluppo dei traffici marittimi, del turismo nautico, della pesca e delle attività ad esse connesse, passa attraverso una attenta programmazione, da sviluppare su due livelli: il primo, più specifico, riguarda la predisposizione degli strumenti necessari per lo sviluppo delle attività di ogni singolo porto, il secondo, più generale, deve garantire lo sviluppo di azioni sinergiche fra i diversi porti che insistono sullo stesso territorio. Entrambi i livelli di programmazione devono avere come presupposti fondamentali il rispetto dell’ambiente, riducendo al massimo le inevitabili alterazioni della qualità delle acque, dello habitat marino e del regime dei litorali. Infine, occorre garantire a tutte le infrastrutture portuali, adeguati standards di sicurezza.

 

Antonio Felice Petrillo

Dipartimento di ingegneria delle acque e di chimica - Politecnico di Bari