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Antonio Brambati - Cambiamenti climatici: solamente dovuti alle attività umane?

Che il clima sia cambiato è senza ombra di dubbi. Una indiscutibile realtà è data dalla diminuzione delle superfici dei ghiacciai  osservate in più parti del mondo. In Europa nell’ultimo secolo la superficie dei ghiacciai si è dimezzata; negli Stati Uniti, negli ultimi 150 anni, è diminuita di circa il 60%; in Africa, nell’ultimo secolo, dal 70 al 90%, nelle Alpi dal 1850 al 2005 di circa il 50% C’è da chiedersi se l’acuirsi del cattivo tempo sia un fatto eccezionale o se rientri in quelli che sono stati definiti da A. Bruckner cicli meteorologici, della durata di circa 35 anni. Oggi, nelle sedi scientifiche si dibatte se e quale sia la componente antropica nell’alterazione del clima del nostro pianeta. Oscillazioni climatiche ci sono sempre state, nel passato geologico come negli ultimi millenni. E’ nota infatti la Piccola Glaciazione che ha investito il nostro pianeta fino a 11.000 anni fa e ancora, quella che si è avvertita soprattutto nel Mediterraneo circa 3.000 anni fa, infine, la Piccola Età Glaciale collocabile dal 1550 al 1750. Questi periodi freddi si sono alternati a periodi più caldi (Optimum Climatico da 9.000 a 5.000 anni fa, e  quello Medievale dal IX al XIII secolo). Oggi si dà gran peso all’innalzamento della temperatura dell’atmosfera del nostro pianeta e ai conseguenti cambiamenti climatici che hanno portato in questi ultimi 150 anni ad un anomalia di circa +0.7 °C cui si attribuisce una significativa componente antropica. Gli effetti di questi cambiamenti sono confermati dall’aumento del (1) numero di eventi catastrofici verificatisi in questi  ultimi decenni, (2) dai conseguenti danni economici prodotti e (3) dalle perdite subite dalle Compagnie di Assicurazione che sono passati dagli anni ’50 al 2000 rispettivamente da 13 a 72, da circa 39 a circa 396 miliardi di dollari e da 6 – 7 a circa 91 miliardi di dollari USA. Sulle cause di questa anomalia si è aperto un ampio dibattito nel tentativo di separare la componente naturale da quella antropica cui si attribuisce: l’innalzamento del livello marino, il trasferimento verso nord dell’aridità dei suoli nell’emisfero settentrionale, l’aumento della piovosità alle basse ed alte latitudini, etc. Come si può intuire, ci sono oggi regioni fredde che potrebbero beneficiare di questo riscaldamento,  altre che potrebbero subire fasi di forte aridità fino alla desertificazione. Merita a questo proposito chiarire alcuni aspetti fondamentali sul riscaldamento del nostro pianeta spesso trascurati. Ad esempio, non corrisponde al vero che gli anni ’90 sono stati i più caldi: gli anni ’30, in particolare, rappresenterebbero la massima anomalia senza voler negare temperature analoghe anche per gli anni ’90. Ed ancora, si sottace che gli astrofisici hanno accertato un aumento della temperatura dei pianeti/satelliti del nostro sistema solare, di valori che oscillano da 0.7 °C per la Terra, fino a 2 °C (in 15 anni) per Tritone, satellite di Nettuno. In 20 anni la temperatura di Marte sarebbe aumentata di 0.6 °C mentre quella di Plutone di 1.9 °C in 14 anni. Ed ancora, l’ analisi delle carote di ghiaccio in Antartide dimostrerebbero che l’aumento della temperatura nel nostro pianeta ha preceduto quello della CO2. Risulta inoltre evidente la correlazione tra le variazioni di temperatura nel nostro pianeta e l’attività solare. Questi dati vengono purtroppo trascurati, e si tende ad attribuire soprattutto all’uomo e all’uso dei combustibili fossili l’aumento della temperatura nel nostro pianeta per l’immissione in atmosfera di CO2. Ed inoltre, viene sottaciuto che nel periodo pre-industriale è stata accertata nell’atmosfera una percentuale di CO2 superiore a quella rilevata oggi. Non si vuole comunque negare una certa responsabilità antropica. Forse non si dà invece la giusta importanza alla crescita della popolazione mondiale che da circa 300.000.000 attorno all’anno 1000 è passata ad oltre 6 miliardi nel 2000 con una previsione di 9 miliardi per il 2050. Ancor più si è trascurata la smisurata crescita degli ovini, bovini, caprini, equini a seguito di allevamenti generalizzati che oggi, in totale, superano i 5 miliardi di unità e la conseguente immissione di metano. A questo punto c’è da chiedersi quali siano le previsioni. Non si può escludere un aumento della temperatura di circa 1°C per gli anni a venire stante che nell’ultimo decennio i valori si sono stabilizzati, senza paventare i 5 – 6°C proposti. Ed ancora, un aumento del livello del mare di 12 – 14 cm, ma non di decimetri o addirittura metri. Ed infine un aumento delle precipitazioni alle alte e alle basse latitudini. Secondo queste previsioni la nostra penisola subirebbe questo riscaldamento, rilevante per gli effetti sull’ambiente. Ciò comporterebbe, ad esempio, l’innalzamento dei limiti di coltivazione dell’ulivo, del mais e del blé de printemps, come di altri cereali od ortaggi. Che cosa fare allora? Non resta che promuovere una serie di azioni: prima di tutte l’educazione ambientale e quindi la tutela dell’ambiente e della salute,  l’attenuazione dell’inquinamento atmosferico e delle acque e, non ultima, una corretta gestione delle risorse idriche. Tutto dipenderà dal tipo di sviluppo che ci proponiamo, se orientato verso una pura crescita economica avulsa dei problemi ambientali o nel rispetto dell’ambiente.

 

Prof. Antonio Brambati – Presidente del Comitato Finanze e Sviluppo

dell’IUGS (International Union of Gelogical Sciences)