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Anna Occhipinti Ambrogi - Un aspetto del cambiamento globale: le invasioni biologiche negli ambienti marini costieri

XI RASSEGNA del MARE – MARE AMICO, Lecce 2-4 giugno 2000

Anna Occhipinti Ambrogi*

Università di Pavia

 

UN ASPETTO DEL CAMBIAMENTO GLOBALE : LE INVASIONI BIOLOGICHE NEGLI AMBIENTI MARINI COSTIERI

 

INTRODUZIONE 

La diffusione operata dall’uomo di specie acquatiche al di fuori delle aree biogeografiche d’origine è un fenomeno antico, legato allo sviluppo della capacità del genere umano di solcare i mari da un continente all’altro. Tuttavia, in anni recenti l’aumento degli scambi commerciali fra le varie nazioni, lo sviluppo di mezzi di navigazione sempre più rapidi, l’apertura di vie di contatto artificiali fra i mari (ad esempio il Canale di Suez, per il  Mediterraneo), la diffusione delle pratiche d’acquacoltura hanno contribuito ad accrescere enormemente l’entità di questo fenomeno, tanto che si parla di “Rivoluzione Biogeografica”, riconosciuta come una delle principali cause di cambiamento globale determinato dall’uomo (Ruiz et al., 1997). Ormai solo poche comunità non hanno sperimentato l’ingresso di specie alloctone e ancora meno sono quelle così isolate o peculiari, per le quali risulti improbabile una prossima introduzione. E’ lecito quindi parlare di “globalizzazione” anche in campo ecologico.

         Organismi marini in grado di sopravvivere agli spostamenti e di riprodursi al di fuori della propria area d’origine vengono comunemente definiti introdotti, alloctoni, alieni, esotici o, secondo la terminologia utilizzata a livello internazionale e alla quale d’ora in poi ci adegueremo, con il termine “NIS”, acronimo di “Non Indigenous Species”.

Il processo d’integrazione di una NIS nel nuovo ambiente è complesso e dipende sia dalle caratteristiche chimico-fisiche e biologiche del sistema ospite, sia dalle caratteristiche ecologiche delle specie in questione. Quando i “nuovi arrivati” trovano condizioni ambientali non dissimili da quelle dell’ambiente di origine e una situazione favorevole al loro sviluppo (mancanza di predazione, debole competizione da parte delle specie native) si possono progressivamente sostituire a quest’ultime e, in alcuni casi, dare luogo a fenomeni di tipo invasivo.

Spesso lo stabilirsi ed il persistere delle NIS ha creato serie alterazioni ambientali: perdita di biodiversità, variazioni radicali d’abbondanza e funzioni delle specie native, perdita di patrimonio genetico. Alcuni organismi introdotti possono dare luogo a vere e proprie invasioni, interferendo negativamente con le attività umane condotte in area costiera e  provocando ingenti danni economici, oltre che ecologici.

In questi ultimi anni si sono verificati preoccupanti fenomeni d’invasione da parte di specie volontariamente ed involontariamente introdotte,  solo in parte compresi nei loro meccanismi ed affrontati in termini di prevenzione, controllo, ed  eradicazione. Specie quali: le alghe verdi tropicali Caulerpa taxifolia e Caulerpa racemosa (Boudouresque et al., 1999), il mitile d’acqua dolce Dreissena polymorpha, il gasteropode asiatico Rapana venosa (Zolotarev, 1996) hanno rapidamente aumentato il loro areale distributivo, interferendo con gli equilibri delle comunità locali e causando gravi danni economici.

Nell’affrontare le complesse problematiche legate alle specie invasive ci si pone come primario obiettivo da una parte il capire quanti e quali siano gli organismi marini in grado di essere trasferiti con successo, dall’altro di identificare quali siano i fenomeni ecologici alla base del processo invasivo.

La comunità scientifica internazionale è fortemente interpellata da questo fenomeno, come è testimoniato dal succedersi di congressi su questo argomento, tra cui anche il simposio organizzato durante il congresso internazionale di ecologia Intecol, tenutosi recentemente a Firenze (Mack & Occhipinti Ambrogi, 1999), che ha visto la comune partecipazione di ecologi terrestri ed ecologi marini. In ambiente marino ovviamente si presentano problemi diversi per la comprensione dei meccanismi di trasporto, introduzione e diffusione rispetto agli ambienti delle terre emerse, essendo questi ultimi più studiati anche perché l’intervento deliberato è più comune e certamente più antico.

PRINCIPALI VIE DI INTRODUZIONE

L’introduzione mediata dall’uomo di nuove specie può avvenire sia attraverso meccanismi di tipo volontario che involontario. Specie di interesse commerciale, per l’elevato tasso di crescita e l’apprezzato valore nutritivo od organolettico, vengono introdotte intenzionalmente ed allevate in aree lontane dal loro luogo d’origine. Lo stesso avviene per specie introdotte per scopi ricreazionali (pesca sportiva) o ornamentali (acquariologia).

Fra i meccanismi di tipo involontario, il più importante vettore è il traffico navale che trasporta organismi planctonici nelle acque di zavorra (ballast water) ed organismi bentonici insediati sulla chiglia delle navi stesse (fouling). Le acque di zavorra, utilizzate dalle navi commerciali per mantenere l’assetto durante la navigazione, soprattutto quando viaggiano vuote, costituiscono il meccanismo d’introduzione che desta le maggiori preoccupazioni, dati gli ingenti volumi di acqua in gioco. E’ stato calcolato che le navi da carico del mondo trasferiscono ogni anno da 8 a 10 miliardi di tonnellate di acque di zavorra e che 3000-4000 specie sono trasportate ogni giorno dalle navi in navigazione per i mari del globo (Carlton & Geller, 1993; Ruiz et al. 1999).

Durante le operazioni di scarico delle acque di zavorra possono essere rilasciati non solo organismi planctonici, ma, se il carico di acqua è avvenuto in fondali poco profondi, anche organismi del benthos, loro cisti, spore ed organi di resistenza, in grado di sopravvivere nel sedimento depositato sul fondo delle cisterne.

Ancora fra i meccanismi di tipo involontario la già citata dispersione intercontinentale attiva o passiva attraverso canali costruiti dall’uomo, nonché il trasporto accidentale di organismi associati con specie intenzionalmente trasferite.

AMBIENTI A RISCHIO

I porti e le aree costiere oggetto di intensi traffici navali costituiscono, quindi, luoghi preferenziali di introduzione. In particolare gli ambienti di transizione (estuari, lagune costiere, mari chiusi e isolati), sia per le loro caratteristiche ecologiche (Cognetti & Maltagliati, 2000), sia perché assai spesso, fin da tempi storici, sono sedi di porti, nonché di acquacoltura (Sacchi et al., 1990), sono quelli in cui più numerosi e più spettacolari sono i casi di espansione di specie alloctone, dalle conseguenze ecologiche più imponenti.

A titolo d’esempio si può citare il Mar Baltico (Olenin & Leppakoski, 1999) dove l’introduzione di filtratori (Mya arenaria e Balanus improvisus) che hanno costituito uno stock di biomassa senza precedenti, ha modificato sensibilmente i flussi di energia attraverso i livelli trofici; o il Mar Nero (Zolotarev, 1996), dove le introduzioni accidentali di Rapana thomasiana = venosa, di Mya arenaria, di Scapharca inaequivalvis hanno fortemente modificato la struttura delle comunità bentoniche con decremento di specie autoctone di interesse commerciale, quali Mytilus galloprovincialis e Venus gallina. 

LA SITUAZIONE ITALIANA E L’ESEMPIO DELLA LAGUNA DI VENEZIA 

Un elenco preliminare delle specie non indigene rinvenute in Mediterraneo è stato fatto da Zibrowius nel 1991; da allora la lista degli immigrati è notevolmente aumentata e sotto il patrocinio della CIESM (Commission International pour l’Exploration de la Mer Méditerranée), attraverso la collaborazione di esperti dei vari paesi che si affacciano al Mediterraneo, è stato dato avvio alla preparazione di “Atlanti delle Specie Esotiche” di cui attualmente sono in corso di avanzata pubblicazione quelli sui Pesci, sui Crostacei Decapodi e Molluschi. Solo per questi gruppi sono state individuate come non indigene 270 specie (la lista completa e le schede relative ad alcune delle specie illustrate nei primi tre atlanti sono visibili al sito web della CIESM: http://www.ciesm.org/atlas/).

Per quanto riguarda l’Italia, una lista preliminare delle NIS rinvenute lungo le nostre coste, recentemente compilata con la collaborazione di diversi biologi marini e presentata nel marzo 2000 a Parnu in Estonia, alla riunione annuale del Working Group on Transfer and Introduction of Marine Organisms (WGTMO) (Occhipinti Ambrogi, 2000a) annovera 31 specie di alghe, 57 di invertebrati e 12 di pesci. La maggior parte di queste specie è stata rinvenuta per la prima volta in acque lagunari o portuali.

Ad esempio, nella laguna di Venezia, considerando la sola componente macrobentonica, sono state segnalate 27 NIS di invertebrati, parecchie delle quali rinvenute per la prima volta proprio in questa laguna (Occhipinti Ambrogi, 2000b).

La laguna di Venezia infatti, oltre ad essere il nostro più vasto sistema lagunare, costituisce un esempio paradigmatico del cambiamento globale legato all’introduzione di specie non indigene, le quali sono state favorite, oltre che dai fattori prima citati, anche dai rimaneggiamenti del bacino lagunare operati dall’uomo sin dai tempi della Serenissima (diversione dei fiumi, escavazione dei canali, costruzione delle dighe foranee, continuo ripristino di barene, consolidamento dei cordoni litorali).

Tali continue modifiche ambientali hanno fortemente influenzato l’evoluzione del popolamento biologico lagunare. E’ infatti opinione accreditata che gli ambienti soggetti a continuo disturbo antropico (“stressati”) siano più facilmente soggetti a colonizzazione da parte di NIS; fra le cause di disturbo antropico vengono indicati l’inquinamento, la presenza di impianti di acquacoltura, di centrali termoelettriche, di substrati duri artificiali e di porti: tutti elementi presenti contemporaneamente nella laguna di Venezia. Se a questi fattori si aggiunge il fatto che gli ambienti lagunari presentano popolamenti più poveri in specie rispetto alle acque marine (Cognetti & Maltagliati, 2000) e sono quindi più facilmente colonizzabili da parte di specie in grado di adattarsi alle condizioni chimico-fisiche che li caratterizzano, non sorprende l’elevato numero di NIS che continuano ad essere segnalate in questo bacino lagunare.

Fra i molti esempi di NIS segnalate in laguna veneta, il caso di una specie di Briozoo, Tricellaria inopinata, rinvenuta per la prima volta nel 1992 nel canale della Giudecca e successivamente diffusasi in tutta la laguna, può essere utile per illustrare i meccanismi di introduzione, adattamento ed espansione in ambiente lagunare e può servire come paradigma per comprendere lo sviluppo di altri eventi potenzialmente più destabilizzanti per le loro conseguenze ecologiche ed economiche, quali quelle paventate per la Chesapeake Bay nei riguardi della specie Rapana venosa (Harding & Mann, 1999), recentemente segnalata in quell’area e considerata un grave pericolo per l’estremamente redditizia industria locale di molluschi.

Il Briozoo in questione ha origine dalla regione indo-pacifica, ed è giunto in Laguna, probabilmente associato a prodotti legati all’acquacoltura o al consumo umano; rilasciatovi accidentalmente e trovandovi condizioni di temperatura, di salinità e di marea non dissimili da quelle degli ambienti di origine, ha dato luogo ad una vera e propria invasione colonizzando tutti i substrati disponibili e ha modificato profondamente la struttura del popolamento autoctono di Briozoi (Occhipinti Ambrogi, 2000c).

Non si tratta in questo caso di una specie dannosa, ma gli studi di lungo periodo condotti in Laguna hanno permesso di seguire la sua espansione, regressione e successiva ripresa e documentano come le specie non indigene siano in grado di avvantaggiarsi nei riguardi dei cambiamenti ambientali, più delle specie locali. La laguna di Venezia in anni recenti ha subito profonde modificazioni ambientali: se negli anni ’70 l’aumento dell’eutrofizzazione ha portato all’abnorme proliferazione di macroalghe del genere Ulva, con i conseguenti ben noti fenomeni anossici, negli anni ’90, anche in seguito alle misure di disinquinamento, le macroalghe sono progressivamente diminuite fino quasi a scomparire del tutto. Una delle conseguenze della diminuzione delle macroalghe è la torbidità delle acque ed il problema che i popolamenti animali e vegetali debbono ora fronteggiare è l’aumento di materiale in sospensione continuamente rimosso dai flussi mareali e non più trattenuto sul fondo dal tappeto algale (Sfriso & Marcomini, 1996).

Per quanto attiene ai popolamenti biologici, queste modificazioni ambientali sono state accompagnate da una progressiva diminuzione delle popolazioni lagunari autoctone a vantaggio di alcune NIS, fra cui Tricellaria inopinata e Tapes philippinarum, che sembrano meglio adattate a far fronte alle attuali nuove condizioni lagunari.

L’esempio di Tricellaria conferma inoltre come gli ambienti lagunari possano fungere da centri di radiazione per la colonizzazione di nuovi ambienti (Leppäkoski & Olenin, 2000). Infatti, oltre che nella laguna di Venezia, Tricellaria è stata recentemente rinvenuta nella laguna di Grado ed in lagune lungo le coste dell’Inghilterra meridionale che ospitano porti turistici (Dyrynda et al., 2000), suggerendo l’ipotesi di un’espansione secondaria legata alla navigazione da diporto. 

INVASIONI BIOLOGICHE E CONSERVAZIONE DEGLI AMBIENTI COSTIERI 

Tra i fattori di impatto antropico dell’uomo sul mare, oltre all’inquinamento, alla perdita di biodiversità dovuta allo sfruttamento indiscriminato delle risorse viventi, al deterioramento degli habitat, l’introduzione di NIS sta assumendo un ruolo sempre più importante, le cui conseguenze ecologiche non sono sempre prevedibili, data la molteplicità dei fattori in gioco.

Poiché l’eradicazione, una volta che una specie non indigena si è stabilita, diventa un’operazione altamente costosa e di difficile successo, conviene operare per evitare nuove introduzioni attraverso la comprensione di tutti i possibili meccanismi di introduzione, la messa in atto di misure normative atte a contenere le possibilità di ingresso di nuove specie, la salvaguardia dell’integrità ecologica degli ambienti costieri. 

Lo studio delle invasioni in ambiente marino è problema a scala globale, affrontabile solo attraverso la cooperazione internazionale fra tutti i Paesi che utilizzino la risorsa “mare”; l’Italia, con la sua estesa area costiera ed i suoi importanti porti commerciali, riveste un ruolo importante come recettore di specie alloctone e come donatore sia di specie autoctone, sia di NIS, in grado di espandersi ulteriormente, dopo acclimatazione lungo le sue coste. E’ quindi necessario sviluppare a livello scientifico e con accordi intergovernativi, basati sull’assistenza dei tecnici e degli studiosi, tutte le occasioni di collaborazione internazionale quali quelle offerte dall’“International Council for the Exploration of the Sea” (ICES), dall’International Maritime Organization (IMO) e dalla Commission Internationale pour l’Exploration de la Mer Méditerranée (CIESM) e promuovere in sede nazionale una forte presa di coscienza del problema.

 Agli organi di governo e agli istituti e agenzie, che hanno la responsabilità della gestione delle nostre coste, spetta il compito di recepire le esperienze internazionali e di valutare la situazione delle nostre coste, quale emerge dall’impegno della comunità scientifica, al fine di impostare un organico piano di controllo e prevenzione.

Dal punto di vista dell’impostazione degli studi, così come confermato dal caso Tricellaria inopinata nella laguna di Venezia,   si sottolinea l’importanza di:

  • disporre di una base di conoscenze sulle comunità presenti e sulla tassonomia delle specie in questione;
  • comprendere i meccanismi d’introduzione per prendere misure atte a contenere il flusso di specie aliene e la successiva riesportazione verso altre aree;
  • conoscere le esigenze ecologiche delle specie introdotte per ipotizzare i luoghi più a rischio;
  • monitorare sul lungo periodo le comunità per verificare le conseguenze sull’ecosistema.

Bisogna inoltre tenere presente che la possibilità di identificare un elemento estraneo dipende dalle conoscenze pregresse sulle comunità locali e dalla capacità degli operatori del settore di riconoscere gli intrusi.  Nel caso di specie macroscopiche di alghe, come Undaria pinnatifida in laguna veneta, di grossi molluschi come Rapana venosa lungo i litorali adriatici, o di pesci è più facile che anche i non specialisti siano in grado di accorgersi dei nuovi arrivati; ma se si tratta di piccoli invertebrati bentonici o planctonici, il riconoscimento di una NIS è, nella maggior parte dei casi, possibile al solo specialista del gruppo sistematico cui appartiene la specie in oggetto.

Ne deriva l’importanza di una conoscenza approfondita del patrimonio biologico delle nostre coste, di un suo monitoraggio ripetuto nel tempo, da attuarsi soprattutto nelle aree identificate più a rischio (così come è stato recepito dal decreto legislativo 152 dell’11 maggio 1999, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e dalle successive “Disposizioni correttive e integrative” varate con il recente decreto legislativo del 4 agosto 2000), nonché la necessità di promuovere a livello nazionale, iniziative che rivalutino e promuovano il ruolo delle conoscenze sistematiche nel campo della biologia.

Se, infatti, le biotecnologie aprono nuovi scenari al progresso dell’umanità, la conoscenza sistematica del mondo che ci circonda diventa strumento di base preliminare ed indispensabile a qualsiasi valutazione di rischio ambientale, non solo nei confronti delle invasioni biologiche, ma di ogni altra forma di minaccia all’integrità degli ecosistemi.    

BIBLIOGRAFIA

Boudouresque, C.F., Meisnez, Z. A. & Gravez, V. (1999) Scientific papers and documents dealing with the alga Caulerpa taxifolia introduced to the Mediterranean. Eleventh edition. GIS Posidonie publishers, Marseilles, Fr., web version on http://www.com.univ-mrs.fr/gisposi, march 1999.

Carlton, J.T. & Geller, J.B. (1993) Ecological roulette: the global transport of non-indigenous marine organisms. Science 261, 78-82.

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Zolotarev, V. (1996) The Black Sea ecosystem changes related to the introduction of new mollusc species. P.S.Z.N. I : Marine Ecology 17, 227-236.

* Indirizzo dell’Autore: Sezione di Ecologia, Dipartimento di Genetica e Microbiologia, Università di Pavia, via Sant’Epifanio 14, I-27100 Pavia, Italy. Phone:+39 0382 304610: fax: +39 0382 528496

e-mail: occhipin@unipv.it